Investire a tutto gas
E cresca l’inflazione

Il premier giapponese, Abe, esprime dubbi sul punto che la Banca del Giappone, pur attuando una politica monetaria molto accomodante, riesca a generare un’inflazione moderata, però in grado di stimolare la domanda di beni e servizi.

La Fed, e per essa il presidente Janet Yellen, è molto incerta al proposito di alzare allo 0.25% (in ogni caso, sempre a un valore minimo storico!) il saggio ufficiale negli Usa. La Bce, non ostante un massiccio quantitative easing in atto, osserva che l’inflazione in Europa tende tuttavia a zero.

Sorge il legittimo dubbio sia sulla efficacia sia sulla giustezza della politica monetaria decisa nel mondo occidentale. In effetto, tale politica ha annullato la remunerazione del risparmio monetario, e insieme ha ridotto a zero, in termini reali, il costo dei debiti pubblici. Ma non si è tradotta in un aumento della domanda totale di beni e di servizi. Infatti, per quanto attiene alle famiglie –principale fonte del risparmio privato e della domanda di beni di consumo – ha generato la sensazione che il capitale accumulato – in depositi bancari e in obbligazioni pubbliche e private – non dia più una rendita, in termini di interessi, in grado di consentire di non consumare il risparmio pregresso e di spendere, anche in tutto, i redditi da lavoro, che per di più non crescono. Con il che si incide, in negativo, sia sui profitti delle imprese sia sulla propensione di esse ad investire. Per quanto riguarda i bilanci pubblici, il minor costo dei debiti non si è tradotto in altrettanti investimenti pubblici, ma solo ha concorso a ridurre, contabilmente, i disavanzi derivanti dalle scelte, già in atto, delle politiche fiscali e di spesa.

Il vizio sta però non tanto nell’inefficacia della politica monetaria, causa di distorsioni sui mercati finanziari, ma nella carenza di una politica economica coerente con gli stimoli monetari, e nella logica del buon governo e del sostegno della domanda interna. Sono mancate le scelte dei governi, invocate più volte da Mario Draghi, presidente della Bce. Ossia i provvedimenti in vantaggio delle famiglie e dei prestatori d’opera, in ordine agli investimenti pubblici infrastrutturali e a una attenta politica di riduzione della spesa pubblica corrente. E forse ora è troppo tardi.

La tempesta finanziaria, che flagella le Borse mondiali, consiglia però decisioni ora più dolorose. Tutti convengono che l’economia globale fa troppo affidamento sul debito. E la più antica cura dei debiti non è di non onorarli, ma di adempiere nominalmente al pagamento, svalutando però la moneta con cui debbono essere rimborsati. Il cortese lettore osserverà: ma se non c’è inflazione? La si genera non con la sola immissione di moneta, ma con disavanzi pubblici per investimenti che la facciano temere. Paradossalmente l’Occidente, ma anche la Cina e i Paesi emergenti, debbono programmare imponenti investimenti pubblici in infrastrutture, coordinandoli e finanziandoli a debito, usando in prima battuta la liquidità di una politica monetaria molto accomodante, ma suscitando l’aspettativa di crescita dei saggi di interesse e del monte salari a livello mondiale e, insieme, dello svilimento delle monete.

Non fare nuovi debiti sovrani per svalutare quelli già in circolazione, ma costruire infrastrutture che rendano più intrecciato il mondo. I consumi e gli investimenti delle imprese seguiranno certo. La guerra economica, aspetto dell’economia globale, ha generato condizioni che, se non rimosse, possono tradursi nel panico finanziario, e nella miseria. Sono stati commessi molti errori per l’ansia di vincere. È il tempo di riscostruire nell’irrinunciabilità di economie integrate a livello planetario. E di pagare i debiti pregressi con lo sconto dell’inflazione.

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