Investire sul lavoro
per crescere

La legge di Stabilità appena messa a punto dal governo non sembra dare all’ economia la scossa di cui ha bisogno: le risorse a disposizione sono state sparpagliate su più campi e alla fine rischiano di non avere lo sperato impatto sulla crescita. Di scossa si sarebbe potuto parlare, ad esempio, in presenza di una coraggiosa riduzione dell’ Irpef (rimandata dal premier al 2018) capace di stimolare i consumi o di una strutturale serie di incentivi per creare nuovi posti di lavoro. E forse proprio su quest’ ultimo punto il governo avrebbe dovuto puntare per rilanciare il Paese.

Il Jobs act senza gli incentivi non sembra infatti efficace e sufficiente: con la riduzione degli sgravi contributivi le assunzioni a tempo indeterminato sono infatti calate del 32,9%. La perdita di lavoro è tra gli effetti più devastanti della crisi economica, un fardello di sofferenza umana e sociale calato sulle spalle di migliaia di italiani. E qualsiasi governo dovrebbe mettere in testa alle sue priorità, come ci ricorda l’ articolo 1 della nostra Costituzione, il lavoro.

Un lavoro dignitoso, che non sia instabile e precario a vita, che permetta di programmare il proprio futuro senza la spada di Damocle della fine del contratto o del licenziamento. Contratti atipici, voucher, tutele crescenti: sono parole che stanno cambiando il mercato del lavoro, che sicuramente ha bisogno di modernizzarsi, ma la dimensione umana non va mai accantonata e i lavoratori non vanno mai considerati solo numeri ma innanzitutto persone.

Creare occupazione, poi, significa anche produrre di più e creare ricchezza e di conseguenza aumentare il Pil e uscire dalla palude stagnante in cui oggi ci troviamo. Certo, c’ è bisogno di aziende che necessitino di manodopera, che abbiano un mercato sul quale vendere i propri prodotti. E c’ è bisogno di formare figure che possano trovare facile collocazione nelle industrie, nelle imprese e nei servizi. Ci vogliono idee e investimenti e la sfida principale è proprio su questo campo. Un campo in cui la scuola ha un ruolo fondamentale: oltre alla cultura e alle nozioni di base, per quale mondo del lavoro deve preparare i ragazzi?

Il compito non è facile per nessun governo. Ma il futuro non è solo nelle mani dell’ esecutivo. Tutti devono fare meglio possibile la propria parte, dall’ alunno che deve studiare sui libri di scuola per diventare un adulto corretto e responsabile all’ imprenditore che deve salvaguardare il proprio profitto, ma nello stesso tempo creare posti di lavoro e opportunità di crescita per tutto il Paese, al governo che deve garantire quanto più possibile il benessere generale.

Una buona economia produce posti di lavoro e ricchezza. Il tasso di occupazione e il Pil ne sono i più importanti indicatori e l’ Italia da questo punto di vista non è messa bene: nel secondo trimestre del 2016 l’ Istat ha registrato una crescita zero contro lo 0,3% dell’ Eurozona, mentre il tasso di occupazione il 57,4% contro il 65,3% (dati Ocse). L’ economia aspetta di ricevere una scossa da una lunga serie di governi.

L’ esecutivo Renzi, come i precedenti, ha messo in campo una serie di misure che vanno dalle pensioni alla riduzione del canone Rai, dalla sforbiciata all’ Ires, l’ imposta sui redditi delle società, alla rottamazione di Equitalia, dai bonus famiglia, migranti e ristrutturazioni a una tassazione soft sul rientro dei capitali, dallo sblocco dei contratti del pubblico impiego a un miliardo in più per scuola e università. L’ ex premier Mario Monti ha chiamato queste misure «elargizioni elettorali», Renzi invece ci conta molto per rilanciare la crescita, ma non si può parlare di scossa. E il sospetto che anche questa volta viene, proprio come in passato, è che a dettare l’ agenda economica siano in realtà i temi politici: sembra di stare in una permanente campagna elettorale e che il consenso sia il principale motore anche della legge di Bilancio.

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