La comoda rendita
di Grillo pigliatutto

L’europeismo, benché ai minimi termini, resta un valore non negoziabile e il Parlamento di Strasburgo non è un Grand Hotel a porte girevoli dove si può entrare o uscire a piacimento: non tutto è convenienza e opportunismo, perché c’è un limite anche nel vendersi l’anima. È questa la lezione impartita al tandem Grillo-Casaleggio jr. reduce dallo scivolone di Bruxelles: il tentativo di traslocare dagli euroscettici inglesi agli ultraeuropeisti liberali, per poi essere costretti a tornare alla casella di partenza.

Quel che è una confortevole rendita di posizione per i 5 Stelle in Italia, cioè il non collocarsi nelle vicinanze di alcuna famiglia politica storica, diventa un handicap in Europa o comunque una condanna all’irrilevanza.

Piaccia o meno, e se ne può discutere, destra, sinistra e quel che resta del centro, per quanto le distinzioni oggi siano più sfumate, conservano una dovuta rilevanza non superabile con disinvoltura: rappresentano identità che fanno la differenza e in cui gli elettori si possono riconoscere come punto d’inizio. La forza di Grillo, viceversa, sta nel porsi in un non luogo, in un’area indefinita, in un imprendibile altrove: tutti i movimenti populisti (in attesa di una definizione meno generica) si muovono sull’asse destra-sinistra ma poi accettano di essere incasellati da una parte o dall’altra, mentre i 5 Stelle vanno oltre non lasciandosi intruppare. È indicativo che i due europarlamentari fuoriusciti dal movimento siano andati l’uno con i Verdi e l’altro con la Le Pen: all’incirca è la distanza politica che i grillini, almeno su certi temi, intendono coprire.

Questa imperturbabile oscillazione consente al castigamatti di cadere sempre in piedi perché la colpa è comunque degli altri (nel nostro caso l’immancabile establishment): non c’è la responsabilità di una coerenza pur ai minimi sindacali e di renderne conto ad un patrimonio di idee, ma si acchiappa al volo tutto ciò che può fruttare. Grillo, così, può dire ciò che vuole senza pagare dazio come del resto conferma l’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli pubblicato dal «Corriere» che dà in testa i 5 Stelle. Il marchio d’origine, l’«onesto dilettantismo» rispetto alla Casta, diventa l’elisir di lunga vita, l’alibi che assolve la goffa inettitudine governativa al Comune di Roma e la maldestra furbata in Europa. Grillo in questo periodo, fra un tuffo e l’altro a bordo piscina keniota, ce l’ha infiocchettata in tutti i modi: l’improbabile svolta garantista per i suoi nel caso di finire indagati, «giurie popolari» per sindacare i resoconti dei media, il cantico della decrescita felice per chi Malindi se la sogna.

Il caso Europa conferma anche che la democrazia diretta è un surrogato di democrazia, semmai realisticamente diretta da Grillo e dalla Casaleggio Associati, cioè da un’impresa privata che gestisce l’offerta politica, quindi pubblica, del movimento. Un non partito o un partito-algoritmo che non vuole uscire dalla culla del No per crescere e fare politica, per superare la stagione del vaffa e dello sberleffo al potere (degli altri).

Il motto liberatorio del grillismo è «uno vale uno», ma la prosa che segue la poesia recita piuttosto che «uno vale l’altro» e soprattutto che c’è un Uno che conta più di tutti, da intendersi come solo e unico, una sovranità esclusiva del sovrano. Non si è esattamente nel perimetro di un sistema liberaldemocratico che richiede sostenitori e non fedeli: il non partito appare non contendibile, non si lascia conoscere e il repertorio si chiude con diktat, espulsioni, multe e quant’altro.

Un quadro autoritario che contraddice il timbro di un movimento salutato inizialmente come il vivace laboratorio di intelligenze critiche e che oggi è afflitto – come ha detto Renzi nell’intervista di ieri a «Repubblica» – «dalle orrende manette incostituzionali che multano l’infedeltà al partito, ogni ribellione e autonomia». Capita, dunque, che il re, fra Roma e Bruxelles, sia nudo e che l’innocenza sia perduta: ambiguità e giravolte hanno un prezzo.

Le componenti più accorte del grillismo, che esistono ma di cui ignoriamo gli spazi di manovra, potrebbero far tesoro di questi incidenti di percorso: essere sulla cresta dell’onda comporta doveri ed equilibrio. Regola valida anche per un movimento che, basandosi sulla piattaforma Rousseau, rimanda al pensatore ginevrino: il teorico della democrazia e dell’uguaglianza dei cittadini, ma anche della democrazia totalitaria.

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