La crisi (in)finita
e la sfida industriale

Bergamo conferma la sua forza manifatturiera. I dati sulla congiuntura del terzo trimestre evidenziano infatti ancora una volta come l’industria di casa nostra riesca a cogliere opportunità di crescita più e meglio di altre realtà simili. Tant’è che i nostri risultati, sia su base trimestrale sia su base annua, sono più positivi rispetto alla media regionale. Questo è il bicchiere mezzo pieno. Non basta però a fugare tutti i dubbi sulla ripresa. Il terzo trimestre è stato debole.

Le incertezze sullo scenario nazionale, con lo spread che torna a farsi sentire in attesa del referendum, e internazionale, con l’esito delle presidenziali americane tuttaltro che scontato, sono ancora parecchie. Se quindi da una parte una recente indagine di Confindustria Bergamo sulle imprese associate ha segnalato come l’industria nostrana abbia recuperato e superato i livelli di produzione del 2007 (quindi con valori pre crisi), tanto da aver fatto dire al presidente Ercole Galizzi che «la crisi è finita», dall’altra la strada appare per nulla in discesa.

Giusto un mese fa, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, più o meno negli stessi giorni in cui veniva a Bergamo ospite di un sistema industriale forte, lanciava l’allarme sul 2017, parlando di un anno difficile, con previsioni fosche sul commercio mondiale, da cui trae linfa buona parte del nostro manifatturiero. Non a caso, parlando con gli imprenditori si coglie, al di là di una giusta dose di orgoglio, non tanto un cantar vittoria quanto uno spirito eternamente da prima linea. Della serie: pancia a terra e avanti a lavorare.

In quale direzione? Una strada da seguire è sicuramente quella tracciata dalla cosiddetta quarta rivoluzione industriale. Il pacchetto da 13 miliardi messo a punto dal governo va colto in tutte le sue potenzialità. A livello di sistema, va sicuramente perseguita l’opportunità di essere un polo di riferimento, con valenza ben oltre i confini provinciali, in un settore che ci è congeniale, come può essere quello delle macchine utensili («macchine che costruiscono macchine» è stato detto) o della meccatronica, che poi è molto vicina e affine. Ma vanno anche sostenuti in modo convinto, efficace e pervasivo la diffusione e lo sviluppo della cultura industriale 4.0 nelle singole fabbriche, a partire dal tessuto capillare delle piccole imprese su cui si fonda l’ossatura del nostro sistema produttivo, che ha tra i punti di forza su cui fare leva un’articolazione completa delle filiere produttive. Sia chiaro: molto si sta già muovendo. Nelle pieghe della quotidiana creatività di giovani startupper (e non) si scoprono pezzi di futuro possibile. È auspicabile tuttavia che la sfida dell’industria del domani sia raccolta da una schiera sempre più numerosa di imprenditori, mettendosi anche dentro la scia di strade tracciate dalle aziende più grandi che sul territorio possono fare da apripista e da guida.

E in tutto questo come sta il lavoro? La congiuntura segnala una riduzione dei nuovi ingressi nel terzo trimestre e un saldo nullo con le uscite. Da gennaio, gli addetti dell’industria crescono dello 0,7% rispetto all’anno precedente. È un dato positivo. Considerando tuttavia le migliaia di posti di lavoro lasciati sul campo, è ancora poca cosa. E qui vale la pena fare due riflessioni. La prima riguarda proprio i dati sul lavoro. A livello nazionale come a quello provinciale, si registra in continuazione una discrepanza tra statistiche di diversa fonte. Basti pensare, per restare in Bergamasca, al saldo tra assunzioni e cessazioni del secondo trimestre: negativo per circa 1.800 contratti secondo i dati Arifl, l’Agenzia regionale per il lavoro; negativo anche fino a 7 mila e rotte posizioni secondo anticipazioni date dal presidente della Provincia in occasione di un pubblico dibattito, con il dubbio però che, per arrivare a una cifra simile, ci sia qualcosa nei numeri che non torna.

Ora, avere un censimento periodico puntuale e incontestabile delle statistiche sul mercato del lavoro appare sempre più necessario a tutti i livelli per poter impostare politiche conseguenti adeguate. Così come appare sempre più urgente adottare strategie di lungo respiro per ridare slancio al lavoro. Per quanto possano essere stati utili gli incentivi, appare difficile, nel sostegno all’occupazione come nel fare impresa, andare avanti a colpi di bonus che oggi ci sono e domani chissà. Servono misure strutturali. Sul fare impresa, il pacchetto per l’industria 4.0 sembra aver imboccato finalmente una strada diversa rispetto al passato. Ora dovrebbe toccare al lavoro dove, da lungo tempo, c’è un nodo irrisolto: il divario eccessivo tra il costo per l’impresa e il beneficio per il lavoratore. Metterci mano potrebbe aiutare non solo l’occupazione ma anche i consumi, quindi la domanda interna e di riflesso tutto il sistema.

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