La doppia partita
tra Renzi e D’Alema

Si scrive legge di bilancio, ma si deve intendere legge elettorale: il cuore caldo della questione è la seconda, non la prima. La piccola guerriglia (lo «strappetto») degli scissionisti dalemian-bersaniani, ancorché tecnicamente irrilevante visto il soccorso di Verdini al governo, è un passaggio obbligato per effetto delle nuove regole del voto che Pd, Forza Italia, Lega e centristi di Ap stanno costruendo. Se passa il Rosatellum bis che riporta al centro la prospettiva delle coalizioni, salta il banco dalemiano: sarebbe, infatti, incomprensibile un’alleanza con il Pd.

Da questo punto di vista, la normativa è vista punitiva per le forze minori e per quelle non aggregabili (grillini). Con ogni probabilità non ci sarà il Vietnam sulla manovra finanziaria e lo stesso Bersani ha escluso l’arrivo della troika, ossia il pericolo dell’esercizio provvisorio. La legge di bilancio (20 miliardi di cui 10 in deficit) sarà un po’ social e senza colpi d’ala, rappresentando il minimo indispensabile: prima di tutto la garanzia del valore delle clausole di salvaguardia per evitare l’aumento dell’Iva, poi la sistemazione del pubblico impiego e la decontribuzione per i giovani.

Il confronto, quindi, è tutto sulle dinamiche politico-elettorali. Con l’ultimo passaggio, quello pro coalizioni, Renzi ha ceduto rispetto alle proprie posizioni iniziali, mentre gli scissionisti oggi si oppongono a quel che ieri chiedeva Bersani. Se D’Alema insegue la botta finale contro il leader del Pd, che adesso vola basso ma con maggior prudenza, quest’ultimo cerca di allargare il solco tra i fuoriusciti di Mdp e Pisapia. La manovra del gruppo dirigente renziano è inserire l’ex sindaco di Milano all’interno della contraddizione dalemiana, incassandone i dividendi. Per come si stanno mettendo le cose, il progetto non appare impossibile. Dipende dai giorni pari o dispari, ma l’inventore del Campo progressista risulta sempre più lontano dall’antagonismo del leader Maximo, oltre che appesantito da un procedere incerto e confuso. L’impressione è che Pisapia non riesca a reggere il peso di questa leadership. Con D’Alema, comunque, la scintilla non è mai scoccata. E soprattutto i due progetti sono alternativi: il primo intende allargare il perimetro del centrosinistra su nuovi basi programmatiche, in dialettica ma non «contro» Renzi, il secondo punta alla frattura. Se a destra l’ottantunenne Berlusconi s’è reinventato moderato, a sinistra la seconda giovinezza di Max ne archivia la stagione alla Blair e lo conduce su un laburismo classico a rischio ridotta indentitaria. Raccontano che abbia il chiodo fisso anti Renzi, ma in ogni caso la strategia frontale che persegue da un anno ha una sua coerenza da combattimento, pur minoritaria: prima il No al referendum costituzionale, poi la separazione, infine il passaggio all’opposizione. Un’agenda programmata a tavolino.

Ma anche qui un zig zag non immediatamente decifrabile: un po’ dentro e un po’ fuori il perimetro della maggioranza, un po’ contro e un po’ semi opposizione, senza rompere del tutto. D’Alema è prigioniero di un cupo pessimismo ed è nella logica del proporzionale: ritiene che dopo le elezioni ci sarà il caos e pertanto si tratta di mettere insieme un listone di tutta la sinistra anti renziana, perché nel Paese c’è (o ci sarebbe) una domanda in tal senso e poi, ottenuto un ragionevole consenso, si deciderà il da farsi. Con o senza Pisapia: potrebbe esserci il presidente del Senato, Grasso, o chi per lui, dato che l’ipotesi di D’Alema alla guida di questa sinistra, cioè di un uomo troppo divisivo, è difficilmente proponibile.

L’isolamento muscolare del vero suggeritore e stratega di Mdp consente a Renzi, come s’è visto nella recente direzione del partito, di aprire a sinistra per crearsi uno spazio nella distanza che separa Pisapia e D’Alema, che è poi l’obiettivo del leader democrat. Le condizioni, dal suo versante, paiono mature e del resto può contare su un riavvicinamento con Prodi e con la tregua siglata con la minoranza interna del ministro Orlando. L’ultimissimo Renzi è inedito, quasi ecumenico e dialogante, lasciando intendere che dispone di un gruppo dirigente plurale in grado di intercettare di nuovo la metà non massimalista del Paese. È in queste condizioni febbricitanti, fra tardive svolte e ripensamenti della leadership e voglia di rivincita, che la comunità spaesata dei democratici ricorderà i primi 10 anni di vita. Aspettando i due referendum sull’autonomia in Lombardia e Veneto e il voto in Sicilia.

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