L’oracolo Marchionne
e la Panda polacca

E così anche la Panda di Pomigliano d’Arco emigra verso Est. Lo ha annunciato Sergio Marchionne in margine al Salone dell’auto di Ginevra. La produzione della vettura verrà trasferita in Polonia, «ma non ora, intorno al 2019-2020», ha detto l’amministratore delegato di Fca, dunque tra due o tre anni. Quel «ma non ora» forse si presterebbe a una lettura psicanalitica, quasi fosse tesa a giustificare la delocalizzazione all’estero di un modello che è un po’ il simbolo della storia dell’auto italiana di piccole dimensioni insieme con la Cinquecento. Le parole di Marchionne hanno messo in apprensione i sindacati e non solo. Che ne sarà del futuro dello stabilimento del Mezzogiorno ex Iri, fondato negli anni ’60 con la produzione dell’Alfasud (oltre 640 mila esemplari), premiato nel 2012 come migliore stabilimento dall’Automotive Lean production, il programma mondiale che ha l’obiettivo di eliminare ogni possibile spreco delle risorse impiegate in tutti i processi di trasformazione per la produzione del prodotto finale?
Dopo la serie di modelli Alfa Romeo (l’ultimo è stato la 159 Sportwagon) dal 2011 in questo stabilimento alle porte di Napoli viene prodotta solo la Fiat Panda. E ora? Da quali modelli verrà sostituita?

Marchionne, al solito, è stato sibillino. Ha parlato, senza dare troppi dettagli, di due nuovi Suv del marchio Stelvio Alfa Romeo, uno più piccolo da produrre a Pomigliano e un altro più grande destinato a Mirafiori. Dunque Pomigliano tornerebbe alla produzione di Alfa Romeo. Altro non aggiunge, a parte l’annuncio che forse in questa produzione al posto della Panda rientreranno anche modelli «più complessi», come Maserati o altri modelli Alfa. Come dire che le auto di alto livello e di grossa cilindrata necessitano del «know how» italiano, mentre le produzioni a bassa tecnologia e a bassa innovazione si possono trasferire negli ex Paesi dell’Est, dalla Polonia alla Serbia. Oltretutto Marchionne ha annunciato l’abbandono di Fca per il 2018 (ma non di Ferrari) e dunque tutta l’operazione sarebbe gestita da altre mani. E a quel punto quelle altre mani potrebbero non sentirsi legate ad alcun impegno pregresso rinnegando gli accordi.

Ce n’è abbastanza per preoccuparsi poiché non si parla di un piano industriale vero e proprio e non si può immaginare il futuro di uno stabilimento fondamentale per il Mezzogiorno semplicemente basandosi sugli «oracoli» dell’amministratore delegato di Fca. Non dobbiamo dimenticare che 500 dipendenti di Pomigliano su 2.200 si sono trasferiti nello stabilimento di Cassino per evitare la cassa d’integrazione.

Dunque resta il dubbio: il trasferimento della Panda sarà occasione di rilancio di uno stabilimento all’avanguardia, considerato un gioiello industriale della Campania, con le sue 700 vetture al giorno o di ridimensionamento, con inevitabili, pesanti ricadute occupazionali?

In questa incertezza c’è tutta l’incertezza della Fiat e dei suoi stabilimenti italiani dopo la fusione con Chrysler. È chiaro che le sorti dell’industria dell’auto si giocano a livello mondiale (lo dimostra la recentissima acquisizione del marchio Opel da parte di Peugeot) ma in questo «grande gioco» rischiano di rimetterci i 25 mila lavoratori italiani dei sei stabilimenti Fiat inglobati da Fiat Chrysler Automobiles, una multinazionale con baricentro ormai dall’altra parte dell’Oceano, sede legale in Olanda e domicilio fiscale in Gran Bretagna.

Sarebbe interessante sapere qual è l’opinione del governo italiano in tutta questa vicenda e soprattutto che parte ha in commedia. In ballo c’è la sorte di 25 mila famiglie italiane, per non parlare dell’indotto.

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