La partita di Renzi
si gioca a giugno

La partita politica che Matteo Renzi sta giocando è scandita in due tempi ad ognuno dei quali viene assegnato un peso diverso. La prima puntata è naturalmente quella delle elezioni amministrative che si disputerà già il 5 giugno; la seconda arriverà addirittura in ottobre. Eppure sembra che sia proprio l’appuntamento autunnale quello più prossimo, il referendum sulle riforme costituzionali cui Renzi attribuisce il significato capitale, non solo per la sopravvivenza del governo ma addirittura della sua stessa carriera politica: «se perdo me ne vado» ha ripetuto incessantemente il presidente del Consiglio, attirandosi l’accusa di voler personalizzare troppo la partita e di voler indire addirittura un plebiscito sulla sua persona.

Per quanto gli sia stata consigliata prudenza, soprattutto e autorevolmente da Giorgio Napolitano, non pare che Renzi sia disposto a correggere la linea, tanto è vero che il ministro simbolo del governo, colei che dà il nome alla riforma della Costituzione, ha confermato a sua volta che in caso di vittoria del no al referendum anche lei è pronta a fare fagotto. Dunque a palazzo Chigi pensano che la battaglia vada combattuta così: o la va o la spacca.

E gli avversari sono a loro volta avvertiti: chi si vuol disfare di Renzi e far cessare anticipatamente la sua stagione deve silurare le riforme. E per quanto Napolitano, e gli stessi 56 costituzionalisti contrari alla legge Boschi, insistano che il dibattito deve svilupparsi sul merito delle modifiche alla Costituzione, la battaglia si fa tutta sulla testa di Matteo Renzi. Non è stato forse Eugenio Scalfari ad avvertire che se il premier vince «e diventa il padrone» è un guaio per tutti? Un’idea che l’anziano fondatore della Repubblica deve condividere c on la minoranza del Pd i cui esponenti anche quando dichiarano che voteranno sì al referendum, sembrano augurarsi che vinca il no e trattano con disprezzo neanche malcelato sia il loro segretario che i suoi ministri (nella polemica sui partigiani Bersani ha trattato la Boschi come una specie di intrusa, un’abusiva che «chissà chi si crede di essere»).

Ma se Renzi punta tutto sul referendum e minimizza le amministrative, i suoi numerosi avversari sono intenzionatissimi ad attribuire alle elezioni nelle città un peso politico nazionale che, in caso di sconfitta del Pd, potrebbe gia prima dell’estate mettere in mora Renzi e farlo arrivare ormai sconfitto all’appuntamento di ottobre.

Il fatto è che il Pd affronta con molto piombo nelle ali questa tornata amministrativa e una sconfitta è da mettere in conto: a Roma Giachetti può solo provare ad andare al ballottaggio; a Milano Sala sente sul collo il fiato di Parisi; a Napoli la Valente non fa neanche il solletico a De Magistris, e persino a Torino Fassino non può dormire sonni tranquilli. Ecco perché Renzi guarda ad ottobre; ecco perché i suoi numerosi avversari lo vogliono inchiodare a giugno e finire in autunno. Sempre che ne abbiano la forza.

Insomma non è da escludere che nei prossimi mesi si giochi lo stesso destino della legislatura giacchè ormai pochi credono che ci sia spazio per un quarto governo «istituzionale», privato di un vero bagno elettorale come si deve. Mattarella, in caso di sconfitta di Renzi, sarebbe costretto a sciogliere le Camere e ad andare ad elezioni con una legge, l’Italicum, che non prevede più l’elezione del Senato. Un bel pasticcio che metterebbe il Capo dello Stato per la prima volta davvero a confronto con le sue responsabilità costituzionali.

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