La realtà virtuale
nel mondo reale

In questi giorni di lutto dopo le scosse sismiche che hanno devastato il Centro Italia, nella piazza social di Facebook non circolano solo appelli alla solidarietà con le popolazioni colpite dal terremoto, ma anche inquietanti tesi complottiste sull’origine del tragico evento naturale. Un paio di settimane prima invece, nel pieno del dibattito sul terrorismo di matrice islamica che ha ferito l’Europa, in quella stessa piazza fu rilanciato il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, accompagnato da letture manipolatorie delle parole del Pontefice e da certezze sulla motivazione all’origine delle sue dimissioni dal soglio di Pietro l’11 febbraio 2013: sarebbero state indotte da personaggi vaticani contrari alla (falsa nella realtà) posizione anti islam di Ratzinger.

Ma poiché, e per fortuna, come disse lo scrittore Carlo Dossi «continuamente nascono i fatti a confusione delle teorie», coincidenza ha voluto che qualche giorno dopo la diffusione di quelle strampalate affermazioni, il quotidiano «la Repubblica» pubblicasse un’intervista nella quale il Papa emerito ha ribadito le ragioni della rinuncia alla carica: semplicemente sentiva di non avere più le forze per continuare a reggere il soglio petrino, dovendo affrontare anche viaggi transoceanici (come per l’allora imminente Giornata mondiale della gioventù in Brasile) con i relativi cambiamenti di fusi orari ai quali il fisico non riusciva più ad adeguarsi.

Complottismo e opinioni spacciate per fatti non rappresentano un fenomeno nuovo e la responsabilità di questa deriva non è certo attribuibile al successo dei social network. Potrebbe essere derubricata a un fatto marginale, a un pensiero distorto che abita una piccola minoranza. Ma non va invece sottovalutata. Le tesi assurde, sconnesse dalla realtà ma sostenute con la prepotenza di chi non ammette l’esercizio del dubbio, riscuotono infatti su Facebook migliaia di condivisioni e di «mi piace». Gli intellettuali più accorti (ne sono rimasti pochi per la verità) dei cambiamenti sociali e antropologici in atto nella società postmoderna, denunciano questo fenomeno in preoccupante crescita. Senza moralismo, ma avvisandoci dei rischi: cittadini sconnessi dalla realtà e quindi incapaci di stare di fronte ai fatti per quello che sono, diventano facilmente manipolabili mettendo così a rischio anche la qualità delle nostre democrazie. Il filosofo Maurizio Ferraris parla di «Emergenza», termine che dà il titolo ad un suo recente saggio nel quale fra l’altro ci ricorda che quello che il mondo ci dà (cioè tutto quello che c’è) emerge indipendentemente dal nostro io, dalle sue patologiche chiusure e dai suoi isolamenti dal prossimo.

Nell’Angelus del 21 agosto scorso, Papa Francesco disse fra l’altro che «la nostra vita non è un videogioco o una telenovela». Fra l’altro perché questo invito a prendere la vita sul serio, che diede il titolo alle cronache dei media, era parte di un discorso più ampio che prendeva spunto dal Vangelo di Luca e dalla domanda dell’evangelista «Signore, sono pochi quelli che si salvano?», alla quale Gesù aveva risposto con l’esortazione «sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno». La porta è Gesù ed è stretta per restringere il nostro orgoglio e la nostra paura. Entrando per quella porta «noi potremo uscire dagli atteggiamenti mondani, dalle cattive abitudini, dagli egoismi e dalle chiusure». Una porta stretta ma sempre spalancata perché «Dio non fa preferenze, ma accoglie sempre tutti, senza distinzioni».

Sono parole che hanno una ragione anche per chi non si professa credente e attinenza pure al fenomeno sociale prima descritto. La piazza di Facebook è un formidabile luogo aperto di incontro fra persone e un’occasione di conoscenza di fatti e analisi che arricchiscono la nostra conoscenza del mondo. Ma anche la vetrina per ego ipertrofici, per la propalazione di tesi irreali. La pubblicazione è gratuita e può raccogliere migliaia di «mi piace» solleticando l’orgoglio e dando una visibilità che non ha precedenti nella storia dell’uomo.

Le redazioni sono abituate a ricevere lettere che hanno la pretesa di far conoscere «un’altra verità, quella che nessuno ci racconta». Alcune hanno fondamento, anche se di difficile verifica. La maggioranza sono invece deliri narcisistici. I giornalisti servono (servirebbero) per questo: a selezione ciò che ha un fondamento (e a pubblicarlo una volta riscontrato) da ciò che non lo ha. Il cattivo uso di Facebook ha fatto saltare questo discrimine, dandoci la misura di una (non) realtà parallela, di un’incapacità di stare di fronte ai fatti per quello che sono, soprattutto quando non ci piacciono. Di un orgoglio e di una chiusura, ma anche di una mancanza di fiducia verso la realtà, per rifugiarsi altrove.

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