La ripresa avanza
nell’Italia lacerata

I dati sull’occupazione, il lavoro, il Pil, la produzione industriale ormai da mesi hanno tutti il segno positivo. Spesso di poco, talvolta – come nel caso della produzione industriale – si tratta invece di incrementi consistenti. Da ultimo ieri l’Istat ci ha fatto sapere che gli occupati nel secondo trimestre 2017 sono aumentati e i disoccupati diminuiti (come è noto non si tratta di due elementi automaticamente congiunti nonostante l’apparenza), e che però questa dinamica riguarda in larga parte i lavori a tempo determinato e alcune fasce di età privilegiando gli over 50 piuttosto che i giovani e giovanissimi.

Sta tuttavia di fatto che il 10,9 per cento di disoccupazione non lo vedevamo dal 2012, da quando cioè la crisi industriale prese a galoppare in seguito agli choc finanziari. L’altroieri abbiamo saputo che la produzione industriale è salita del 4,4 per cento, che aumentano le ore lavorate e che la cassa integrazione viene man mano riassorbita. Conclusione: le cose non vanno bene come dovrebbero, ma benino sì, e sembra che questa tendenza positiva sia costante, e che anzi ora stia accelerando dopo aver avuto un andamento assai lento. La ripresa, ce lo dicono tutti, si sta irrobustendo tanto che le prudentissime previsioni sul Pil del governo vengono riviste al rialzo da tutti gli enti più qualificati sia in campo nazionale che internazionale.

Con questo tipo di notizie un Paese riprende respiro, le persone si sentono incoraggiate, sono spinte a sperare di nuovo in un futuro migliore di quanto potesse apparire solo fino ad un paio di anni fa quando tutto intorno a noi era buio e i numeri avevano sempre un meno davanti. Siccome la fiducia è un elemento fondamentale dell’economia perché spinge l’intrapresa e dunque la creazione di ricchezza e di lavoro, dovremmo tutti incoraggiarci a vicenda come se idealmente fossimo uniti a spingere le ruote di un carro ancora molto pesante ma non del tutto bloccato nel fango della salita. E invece no. Gli italiani riescono a dividersi anche sull’ottimismo: il furibondo scontro politico non dà requie. Se da una parte abbiamo la maggioranza, il Pd, Renzi, Gentiloni, i loro ministri e parlamentari che (abbandonata qualche enfasi di troppo del recente passato) dicono: le cose migliorano, certo non basta ma fino a qualche tempo fa questi progressi erano impensabili, dall’altra tutto l’arco delle opposizioni continua a parlare di numeri-truffa, di trionfalismo bugiardo del governo, di imbroglio mediatico, e descrivono un bicchiere non mezzo vuoto, no, ma del tutto a secco.

Se poi andate sui social network che ormai, per giusto o sbagliato che sia, abbiamo preso a considerare il barometro della pubblica opinione, noterete che i dati Istat, Confindustria, Ocse, Banca d’Italia, Inps, ministero del Lavoro, ecc. vengono trattati al livello di fake-news propagandati dai giornali «di regime» al servizio del Pd e dei suoi «complici». È del tutto evidente che una opposizione fa il suo mestiere quando critica la maggioranza, e sicuramente la sua azione è fondamentale nel costringere il governo a stare coi piedi per terra evitando ogni trionfalismo propagandistico, e nel contrapporre alle ricette di chi sta al potere le proprie proposte alternative (sempre che, beninteso, ne abbia). Ma quello che nessun partito può fare è sposare una logica demolitoria, e questo non certo perché danneggia il potere quanto perché contribuisce ad inchiodare l’Italia all’idea di essere condannata ad un ineluttabile declino sociale, economico, industriale.

Dovremmo imparare da altri Paesi europei dove il dibattito politico è più composto (ma non meno duro) perché attento all’interesse nazionale, non solo a quello di bottega. Noi appunto ci apprestiamo ad una campagna elettorale che sarà molto lacerante e, con ogni probabilità, giocata con una legge che non garantirà nella prossima legislatura la formazione di una maggioranza e di un governo stabili. Quindi sarebbe necessario che i partiti – tutti - dessero prova di grande senso di responsabilità, evitando che il loro scontro devasti la casa (di tutti noi) che li ospita. La linea è in fondo semplice: denunciare ciò che manca, riconoscere ciò che c’è. C’è il serio rischio che una futura lunga fase di instabilità politica vanifichi tutti questi piccoli ma significativi segnali di ripresa dell’Italia, e ci riporti indietro, a quei tristemente famosi «segni meno». Evitiamolo: per il bene di tutti noi.

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