La Spagna, la Chiesa
e la via del dialogo

La posizione della Santa Sede sulla crisi catalana è molto chiara e non è il frutto di decisioni prese negli ultimi giorni. Papa Francesco ne parlò per la prima volta tre anni fa a giugno in un’intervista al quotidiano catalano La Vanguardia. Bergoglio fece una premessa: «Tutte le divisioni mi preoccupano». Poi osservò che «la secessione di una nazione, che non è stata costretta ad una unità forzosa, è una questione da prendere con le pinze e va analizzata caso per caso». Il Papa ha precisato ulteriormente il suo pensiero sull’aereo di ritorno dall’Armenia l’anno scorso, distinguendo nettamente tra «emancipazione» da una situazione di colonialismo, che non è il caso catalano, e «secessione».

E lunedì scorso, secondo il settimanale cattolico spagnolo «Vida nueva», lo ha ripetuto al nuovo ambasciatore di Madrid in Vaticano Gerardo Bugallo, in un colloquio di 20 minuti seguito da un altro di mezz’ora tra il diplomatico spagnolo e il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato. La tesi è sempre la stessa, riferisce il settimanale, e cioè che la Santa Sede è contraria a «qualsiasi autodeterminazione che non sia giustificata da un processo di decolonizzazione e dal rispetto della legalità costituita». Ciò che auspica invece la Santa Sede è il dialogo, ma è la Chiesa locale che può facilitarlo.

Il cardinale di Barcellona Juan Josè Omella e l’arcivescovo di Madrid Carlos Osoro hanno incontrato il premier Mariano Rajoy. Omella avrebbe visto anche il vice-presidente della Generalitat Oriol Junqueras, ma non il leader degli indipendentisti Puigdemont, il quale punta su una mediazione diretta del Vaticano.

Ma di mediazione, «compromiso» in spagnolo, non vuol sentire parlare nemmeno il card. Omella, perché vorrebbe dire «internazionalizzare la crisi». La posizione ufficiale, fanno sapere fonti del arcivescovado di Madrid, è lavorare «sul dialogo e la comprensione».

Già prima del referendum il presidente dei vescovi spagnoli Ricardo Blazquez aveva messo in guardia le istituzioni, i partiti, le organizzazioni della società civile e i cittadini sul rischio di finire prigionieri di una situazione «irreversibile» e dalle «gravi conseguenze». Pochi giorni prima, il 20 settembre, sono stati i vescovi catalani a chiedere «il dialogo», sulla base del «buonsenso» e del «rispetto dei diritti e delle istituzioni» e non dello scontro. Il cardinale di Barcellona il giorno della consultazione in un articolo sull’Osservatore Romano aveva osservato che «il sospetto, l’invidia e l’avarizia sono tarli che impoveriscono la nostra vita e ci fanno soffrire molto», lasciando intendere che la scelta dell’indipendenza fosse essenzialmente dettata da ragioni contrarie alla solidarietà con il resto del Paese.

Il giorno dopo ha tuttavia deplorato la violenza. Ieri sulla crisi è intervenuto con un editoriale intitolato «Prima di tutto molta calma», il settimanale cattolico di Madrid «Alfa y Omega», ricordando «l’urgenza di promuovere un sano patriottismo inclusivo capace di abbracciare la ricca diversità e pluralità degli spagnoli» e ribadendo la responsabilità della Chiesa di lavorare «per la concordia» in Catalogna e «nel resto della Spagna».

Ma non tutta la Chiesa ha una posizione unitaria. L’arcivescovo di Oviedo, capitale delle Asturie, mons. Jesus Sanz, è per il dialogo «ma non a qualunque prezzo» e denuncia la «truffa dell’indipendenza». Altri vescovi non nascondo simpatie per la secessione, come fa anche l’abate di Monserrat, Maria Soler, che gli autonomisti catalani vorrebbero coinvolgere in una mediazione. Il card. Omella sta tentando faticosamente di tenere aperto insieme al vescovo di Madrid un canale di dialogo con tutti, lavorando in maniera discreta e il più lontano possibile dai riflettori dei media.

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