La sveglia all’Europa
del Papa argentino

Ci voleva un Papa argentino di 77 anni per restituire all’Europa un sussulto di gioventù. Le 5 ore che Bergoglio ha passato ieri a Strasburgo, sono state anche nella tempistica, il corrispettivo di una bella sveglia.

Bandendo retorica e cerimonialismi, Francesco molto pragmaticamente ha usato il suo tempo per tentare di scuotere l’Europa («nonna e non più fertile e vivace») e farla uscire dal torpore che l’avvolge. I due discorsi tenuti al Parlamento e al Consiglio d’Europa, per quanto siano fittissimi di contenuti, sorprendono per la freschezza dell’approccio, per una chiarezza che si sottrae ad ogni sofisma e arriva diritta

al cuore delle questioni. È una modalità che gli ha permesso di essere molto libero nell’affrontare temi tabù. Bellissimo ed emblematico ad esempio, il passaggio, per altro molto delicato vista qual è l’ideologia che oggi va più di moda, sui diritti individuali. Il Papa ha parlato di rischi di equivoci e fraintendimenti, perché da individuali i diritti troppo spesso si trasformano in «individualistici». Cioè in una prevaricazione dell’io, che si pensa come una monade «sempre più insensibile alle altre monadi attorno a sé». È il diritto individuale senza limitazioni, che non solo è sbagliato in sé, ma che distrugge ogni legame e ogni convivenza. Il Papa perciò è arrivato a Strasburgo per ricordare all’Europa un principio elementare: che l’uomo è essere relazionale. Che per una sana costruzione della persona il «noi» conta più dell’«io». È una verità semplice che Francesco ribadisce da sempre anche a livello di scelte linguistiche: nei suoi discorsi le ricorrenze delle categorie «noi-tutti» sono infinitamente più frequenti della prima persona singolare. Se l’Europa è triste, stanca, senza più forza attrattiva, è dunque a causa di questo suo chiudersi nel guscio dell’individualismo e della rivendicazione di diritti che non fanno mai i conti i doveri e con i diritti di altri.

L’Europa quindi apra le porte, si metta in relazione con la propria storia non per restarne prigioniera, ma per ritrovare quegli spunti che l’hanno fatta essere grande. Il Papa ha detto di ritenere fondamentale il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato, ma poi ha precisato di essere più interessato al «contributo che (il cristianesimo) intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita». Un contributo che non è in nessun modo un pericolo per la laicità degli Stati, bensì un suo arricchimento. Conta insomma la buona vita che il cristianesimo è in grado oggi di immettere nel tessuto dell’Europa: il che toglie alibi a tutti, sia ai laicisti, sia ai credenti troppo rinunciatari.

L’individualismo, tra le tante conseguenze nefaste, ha anche quella di tagliare le gambe alla democrazia. L’Europa oggi vive una democrazia svuotata, in quanto non è più «forza politica espressiva dei popoli»: bellissima questa affermazione del Papa. Il venir meno delle organizzazioni e dei partiti politici, toglie vitalità alla democrazia, che è esposta alle spinte omologanti e uniformanti del «potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti». Così la democrazia è ridotta a «nominalismo politico». L’uomo che non si aggrega, che non sa declinare il «noi», che non costruisce relazioni e anche strutture sulla base del proprio vissuto e delle proprie convinzioni è alla fine un uomo fragile, in balia di forze a cui non sa dare neanche il nome. Straordinarie le parole con cui il Papa descrive le dinamiche che tengono in trappola l’uomo europeo di oggi: «Purismi angelici, totalitarismi del relativo, fondamentalismi astorici, eticismi senza bontà, intellettualismi senza sapienza». Guardiamoci attorno e guardiamoci dentro, e chiediamoci se non è propri così. Parlando a Strasburgo, il Papa non ha parlato a un’entità istituzionale e lontana, ha parlato di ciascuno di noi, e a ciascuno di noi. Per ricordarci che l’Europa è qualcosa che ha anche a che fare con le nostre vite. L’Europa siamo noi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA