La violenza sulle donne
e il caso Fontanella

L’episodio di violenza sessuale accaduto l’altro ieri a Fontanella in una comunità che accoglie richiedenti asilo non poteva non lasciare un segno profondo nell’opinione pubblica. La dinamica dei fatti è quella che purtroppo sentiamo ogni giorno ripetersi, con una frequenza che davvero non può non inquietare. Proprio il giorno prima a Catania era accaduto un episodio dalla dinamica per tanti versi simile: anche lì un’operatrice in servizio, in quel caso una dottoressa, è stata violentata per ore da un paziente in stato di ebbrezza.

A Fontanella la differenza è consistita nel fatto che il colpevole del gesto è un immigrato, un richiedente asilo, anche lui per un certo verso affidato alle cure, in questo caso di carattere sociale, dell’operatrice. Diversa anche la conclusione, perché mentre a Catania nessuno è potuto intervenire, a Fontanella sono stati altri due immigrati ad accorgersi di quanto stava accadendo e a sfondare la porta del bagno per bloccare il violentatore. Un gesto che non solo ha risparmiato ulteriori violenze per la ragazza ma che ha avuto un valore simbolico grandissimo: come ha voluto sottolineare lo stesso procuratore che segue l’inchiesta sul caso, si è trattato di un gesto coraggioso che è giusto rimarcare anche di fronte all’opinione pubblica. Ora, è molto probabile che il dibattito su quanto accaduto finisca con il mettere nel mirino ancora una volta i migranti, che di tutto quanto accaduto resti soprattutto il colore della pelle del colpevole. Ma la coincidenza dei due episodi tanto simili invece ci dovrebbe far pensare e ci dovrebbe portare al vero cuore della questione: cioè a questa crescita quasi disperante di episodi di violenza nei confronti delle donne. È una crescita che prende le forme più diverse ma che alla fine è riassumibile in una costante: la pretesa di possesso da parte del sesso forte rispetto al sesso debole.

Perché tutto questo sta accadendo in una società come la nostra in cui la coscienza dei diritti è enormemente cresciuta? Come può accadere che mentre si danno per condivisi tanti valori in realtà emergano con tale frequenza e spregiudicatezza queste energie «energumene» fuori controllo? È di questo paradosso di cui dovremmo ragionare. Perché la violenza contro le donne non è un portato della popolazione migrante. È molto più verosimilmente qualcosa che loro hanno trovato arrivando nella nostra civilissima Italia. Per questo invece che scegliere dei capri espiatori bisognerebbe fare un esame di coscienza e capire quanto ad esempio chiudiamo gli occhi davanti al ripetersi di dinamiche di bullismo contro le ragazze. Quanto una certa prepotenza nelle relazioni venga silenziosamente legittimata. È questo sottofondo di comportamenti il terreno su cui attecchiscono poi comportamenti atroci di uomini che guardano alle donne come a delle prede.

C’è troppo spesso un gap tra la cultura moralmente corretta di cui tutti ci riempiamo la bocca e i comportamenti normali e quotidiani. Nessuno ad esempio a parole mette in discussione il diritto sacrosanto di una ragazza a tornare a casa in tranquillità la sera prendendo un mezzo pubblico, ma sul piano di realtà le cose stanno del tutto diversamente. È quel diritto ogni sera è messo in gioco.

I due episodi di Fontanella e Catania poi hanno un’altra componente che rende ancor più allarmante il quadro: sono state colpite due donne doppiamente indifese perché impegnate in lavori di cura. Due donne che fondando il loro lavoro su un rapporto di fiducia tra loro e i soggetti delle loro cura. Rompere questo rapporto è come commettere una violenza al quadrato, in una società che ha sempre più bisogno di figure capaci di operare nel mondo della cura. E sappiamo bene, per esperienza, il valore aggiunto che la sensibilità di una donna porta in ogni percorso di cura.

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