L’accoglienza
da correggere

Settecento migranti al riparo in 14 Comuni. Nessuno negli altri 228. Bastano questi dati a fotografare l’origine del malessere che serpeggia nei paesi ospitanti, insieme a un metodo non proprio concertativo nell’assegnazione da parte della prefettura. La distribuzione dovrebbe tener conto anche della demografia: non c’è congruenza tra i 95 migranti nella piccola frazione di Lizzola e i solo 43 a Bergamo. L’accoglienza dipende certo da altre variabili, come la disponibilità di luoghi adatti. E non sono certo le tendopoli.

La proposta di aprire le porte degli ex Ospedali Riuniti in cittàa un gruppo di stranieri non è praticabile per Palazzo Frizzoni perché l’area non è comunale (è previsto l’insediamento dell’Accademia della Guardia di Finanza).

Ma la Bergamasca si presta a un’accoglienza diffusa nel territorio, proprio per via dei suoi 242 Comuni e di una vocazione ancora solidale per la presenza del volontariato e di persone come quelle che si sono offerte di dare un aiuto ai migranti arrivati in questi giorni: diffusa significa pochi profughi in più paesi e non il contrario come sta accadendo, assegnando quote ai 14 Ambiti territoriali in cui sono ripartiti i Comuni, come suggerisce il Pd.

La fattibilità della proposta verrà ora verificata dal prefetto Francesca Ferrandino, che settimana prossima incontrerà i responsabili degli Ambiti. Il Partito democratico infatti si sente giustamente beffato dalla gestione prefettizia: la disponibilità a una possibile accoglienza da parte dei Comuni a guida centrosinistra, in nome di un senso di responsabilità istituzionale, espone il partito alle critiche di chi, come la Lega ma non solo, chiude le porte all’insegna dell’eterna campagna elettorale sui migranti. Una gestione che ha quindi il sapore dell’ingiustizia amministrativa.

L’accoglienza delle persone fuggite dall’Africa e dal Medio Oriente sconvolto dalle guerre non è solo una scelta dettata dal buon cuore, ma una necessità. Parliamo di persone già presenti sul territorio nazionale, dopo essere state tratte in salvo dalle imbarcazioni in balìa degli scafisti e del Mediterraneo. Parlare di emergenza significa aver preso colpevolmente atto della realtà con anni di ritardo. Siamo invece di fronte a un fenomeno strutturale. A cambiare negli ultimi tempi sono stati i numeri degli approdi nel sud Europa: come rilevato dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, nei soli primi sei mesi di quest’anno gli arrivi hanno raggiunto la cifra record di 137 mila persone (più 83% rispetto allo stesso periodo del 2014) tra Grecia, Italia, Malta e Spagna, avamposti geografici nel Mare Nostrum. Ma anche i numeri erano prevedibili per chi sa leggere la cronaca estera. I ritardi sono imputabili certo al governo in carica, ma non solo.

Siamo ancora l’unico Stato europeo a non avere una legge organica sul diritto d’asilo. Ma negli anni in Italia non ci siamo dotati nemmeno di strutture adeguate all’accoglienza temporanea né di accordi bilaterali per i rimpatri nei Paesi di provenienza di chi non ha diritto allo status di rifugiato. Fu Maroni, allora ministro dell’Interno, a istituire il centro siciliano di Mineo che oggi ospita 3 mila migranti e a obbligare nel 2011 un altro migliaio a soggiornare nel centro della piccola Lampedusa, finché non scoppiò la rivolta. Quel modello era già desueto allora, figurarsi oggi. In attesa che si trovino soluzioni per arginare le partenze dall’Africa (la diplomazia governativa sta operando per istituire campi d’accoglienza in Nigeria) e venga saturata la ferita aperta della Libia, punto di partenza delle masse in fuga, a livello nazionale si sta cercando di correggere quel modello.

Intanto nell’Europa riluttante si tenta di far passare il sistema delle quote (a ciascun Paese la sua parte d’accoglienza). È anomalo che ciò non avvenga a livello locale, dove peraltro il sistema ha ancora più senso, visto che sul territorio continentale i migranti tendono invece a dirigersi verso i luoghi dove risiedono già parenti o amici e possono trovare aiuto: ingabbiarli in quote è più difficile. Ma nella Bergamasca si può fare.

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