L’autunno caldo
dell’economia

Siamo in piena estate ma è già autunno caldo per l’economia. Il governo Gentiloni annuncia le prime novità della prossima manovra: la riduzione del cuneo fiscale, la lotta alla povertà e un piano di massicci investimenti. Come è noto il nostro Paese sta vivendo una fase di ripresa a bassa intensità. Gli ultimi dati macroeconomici offerti da Bankitalia parlano di un aumento del Pil dell’1,4 per cento, sostanzialmente per fattori endogeni e cioè non dipendenti dalla produttività interna, bensì da una serie di cause legate alla contingenza economica.

Tra l’altro gli altri Paesi dell’Unione corrono tutti più di noi, dalla Spagna (3 per cento) fino alla Francia (1,7). Siano la Cenerentola della ripresa. Se dovesse mantenersi su questi ritmi passeranno almeno vent’anni per tornare ai livelli pre-crisi 2008. Un lusso che non ci possiamo permettere vista anche la mole di debito pubblico che ci pende sulla testa.

In Italia la situazione sociale sta diventando esplosiva. Ormai basta un cerino per innescare l’esplosione, a partire dai giovani: la disoccupazione degli under 35 è del 40 per cento, con punte dell’80 per cento al Sud. In termini contabili però più Prodotto interno lordo significa meno deficit e meno debito e quindi un «sentiero allargato», come lo ha definito il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, con più risorse a disposizione non solo per disinnescare le clausole Iva, ancora incombenti (per un importo di circa 6 miliardi), ma anche per nuove misure espansive, dal cuneo agli investimenti e alla lotta alla povertà.

La sensazione è che in questi ultimi anni non si è messo il veliero Italia nelle condizioni di prendere il vento della ripresa. Eravamo troppo impegnati nelle convulsioni della politica, trascinati da una campagna elettorale permanente che non solo distoglie la classe politica dalle priorità, ma che spinge i governi a produrre provvedimenti a breve termine, più efficaci nell’intercettare il voto degli italiani piuttosto che creare le condizioni strutturali per la ripresa.

Della prima categoria di provvedimenti potremmo annoverare il bonus di 80 euro. Denaro che ha giovato a chi li ha presi (e probabilmente a chi li ha dati) e che ha contribuito ad aumentare i consumi, ma senza trascinare la domanda interna.

Molto più efficace sarebbe stato varare un piano di investimenti e di defiscalizzazione, soprattutto del lavoro. Le priorità del nostro Paese si chiamano disoccupazione giovanile e povertà. Il governo ora annuncia che andrà avanti con il Reddito di inclusione sociale e riproporrà gli incentivi fiscali per i giovani. Si parla di 15-20 punti di contributi in meno per tre anni - praticamente un dimezzamento - per i contratti a tempo indeterminato a vantaggio degli under 29 (o degli under 35, ancora non è chiaro).

Un intervento simile avrebbe un costo iniziale inferiore al miliardo di euro nei primi due anni, per poi attestarsi, a regime, a 1,5 miliardi. Ma la notizia più significativa è l’annuncio di una riduzione delle tasse sul lavoro. L’imprenditore avrebbe più facilità ad assumere e il lavoratore si ritroverebbe più soldi in busta paga. Non dobbiamo dimenticare che il livello dei salari italiani è tra i più bassi d’Europa.

Un massiccio piano di investimenti keinesiani potrebbe smuovere molti settori, a cominciare da quello edilizio. I progetti legati ad «Industria 4.0» e i cosiddetti «superammortamenti» hanno dimostrato di funzionare e per questo l’obiettivo è di rinnovarli. Meglio tardi che mai dunque. Ma all’orizzonte già si vede lo spettro delle elezioni anticipate. Il rischio di perdere l’ennesima occasione per ripartire è dietro l’angolo.

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