Le accise pagano
le speranze vane

Nella manovra economica che approda al Parlamento non mancano le stravaganze. La prima riguarda le cosiddette clausole di salvaguardia, cancellate con un tratto di penna dal governo, come se per magia lo Stato non dovesse più coprire finanziariamente i provvedimenti nel caso si trovasse in queste condizioni.

Ma vediamo prima di che si tratta. Introdotte per la prima volta nella manovra del 2011, le clausole di salvaguardia sono le norme che prevedono un aumento automatico dell’ Iva nel caso lo Stato non sia riuscito a reperire le risorse pianificate per coprire una legge di spesa. In pratica è il prezzo delle promesse o delle speranze vane. Se come copertura finanziaria (ad esempio una nuova autostrada, o un bonus di qualche tipo per certe categorie sociali) prevedo che le risorse derivano dall’ aumento della lotta all’ evasione fiscale e poi la cifra è inferiore a quella prevista, si apre il paracadute della clausola di salvaguardia. Per scongiurarlo il governo a quel punto può solo dirottare risorse, tagliare la spesa pubblica o rinunciare al provvedimento, ma, per dirla con una battuta alla Bersani, a quel punto il dentifricio probabilmente è già uscito dal tubetto e bisogna pagarlo.

Di manovra in manovra, la clausola di salvaguardia era come la donna di picche di un noto gioco, i governi la ereditavano dal precedente.Monti la ereditò da Berlusconi, che a sua volta la passò a Letta, che la scaricò su Renzi. Renzi invece, semplicemente, ha tolto la carta dal mazzo. Tutto così semplice? Per niente, perché non basta un tratto di penna per tappare un buco di bilancio. Come è noto, lo Stato da che mondo è mondo ha tre modi per finanziarsi, se non vuol tagliare la spesa pubblica: tassare (e Renzi non lo vuol fare), stampare moneta (e non lo può fare, perché decide la Bce) oppure aumentare il debito pubblico.

Ed è esattamente quello che rischia di fare il nostro premier, dopo che ha aumentato il rapporto deficit/Pil proprio per reperire quei 15 miliardi che hanno scongiurato l’ aumento dell’ Iva. Se con la prossima manovra i conti non torneranno, non avrà alternative: o aumenta il debito, chiedendo altri soldi in prestito agli investitori mondiali, sfidando le letterine dell’ Unione europea, o taglia la spesa pubblica, cosa molto più facile a dirsi che a farsi. Oppure torna in Parlamento con un decreto di copertura, magari dirottando soldi destinati ad altre cause.

Ma la cosa più stravagante è che in questa manovra alle clausole di salvaguardia sembrano sostituirsi i cari vecchi rimedi delle finanziarie della Prima Repubblica: aumento della benzina, tasse su tabacchi e alcol. È questo infatti che ipotizza di fare il governo nel caso il condono fiscale (pardon, la voluntary disclosure) non produca gli effetti preventivati.

Un’ altra stravaganza della manovra pare sia la decisione di trasformare gli scontrini in una sorta di gratta e vinci o in biglietti della lotteria, in modo da incoraggiarne l’ uso presso negozianti e clienti. Non certo un incentivo contro la ludopatia, la tassa occulta sulla povera gente che imperversa da Marsala a Bolzano, rovinando centinaia di migliaia di persone. Un bell’ esempio per tutti, che ci insegna che i soldi si fanno col sudore della fronte e non con la dea bendata. Non si tratta oltretutto di un’ invenzione italiana, anche se il nostro è il Paese delle lotterie. Esiste già in Portogallo, a Malta, a Taiwan, in Cina, in Romania e in Slovacchia. Come si vede, abbiamo deciso di stare nel gruppo degli Stati più sviluppati sul piano del diritto e della protezione sociale.

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