Le Messe estive
e la forza della Chiesa

Succede sempre durante l’estate. Le Messe delle parrocchie di pianura, delle basse valli, della città soprattutto, si spopolano, a causa delle vacanze. Forse meno gente parte rispetto ai tempi d’oro del «tutti al mare», ma i vacanzieri restano comunque numerosi. Le Messe estive, diventano, anzi, doppiamente spopolate: perché c’è meno gente e la meno gente occupa gli stessi spazi dei tempi «normali». Le nostre chiese, infatti, pensate per assemblee numerose, diventano inadeguate per eccesso quando i presenti sono pochi. E vedere pochi fedeli, sparsi qua e là in un chiesone semivuoto, suscita un vago senso di disagio. Eppure anche le Messe spopolate delle vacanze possono essere prese in positivo, come una specie di ammonimento, di messaggio. In fondo, anche quando la chiesa è piena, la gente che c’è è poca, anzi pochissima, rispetto a quella che non c’è. Le quattrocento persone della chiesa piena, sono un decimo, un ventesimo della popolazione del territorio. Le comunità cristiane sono sempre minoranza. Sempre, anche quando i numeri sono pesanti.

Le grandi folle che corrono ad ascoltare Papa Francesco sono grandi, certo, rispetto alle piccole folle di una Messa di parrocchia, ma sono piccole in rapporto al totale della gente che di Papa Francesco sa poco o nulla, che spesso non lo ascolta, e che, anche se lo ascolta, non fa quello che dice.

Queste considerazioni, poi, partono tutte dai numeri: si valuta una comunità cristiana in base alla sua consistenza. È un punto di vista comprensibile ma fragile, paradossalmente fragile. Si fida troppo della forza: la comunità cristiana conta quando si vede che conta. Non è un punto di vista peregrino, perché la stessa Chiesa l’ha assunto e l’ha usato soprattutto nei suoi rapporti con la società. In effetti, quando la Chiesa ha dovuto trattare con le autorità civili ha fatto pesare la sua forza. Non la forza della fedeltà al vangelo, ma dei numeri. Qualcuno dice che non si può fare diversamente, sia perché la fede non la si può valutare, sia perché con le autorità civili ciò che conta è la forza. Solo che l’uso di questi criteri «mondani» da parte della Chiesa ha finito per rendere la Chiesa stessa più mondana, anche nei suoi rapporti interni. Con tutte le conseguenze negative che non è difficile immaginare.

Alla Chiesa delle chiese semivuote incombe però il dovere di chiedersi se la sua fiducia nei numeri è quella buona. È stato letto recentemente, nelle Messe, un passaggio del vangelo di Matteo, caustico fino alla violenza: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi», dice Gesù ai suoi amici. I seguaci del Maestro, dunque, sono deboli rispetto agli uomini in mezzo ai quali sono mandati. E Gesù rincara la dose: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia». Il cristiano, dunque, rispetto agli uomini verso i quali è mandato, sembra essere irrimediabilmente perdente. Solo che, subito dopo, in maniera inattesa, Gesù aggiunge: «Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi». Come a dire che la debolezza dei cristiani verso gli uomini è come controbilanciata dalla forza che viene loro «dall’alto».

Il paradosso di questo vangelo può dunque essere letto come un invito a tornare alla radice di tutto. La Chiesa, in effetti, non annuncia una parola sua, ma una Parola che le è stata consegnata, non trasmette doni suoi, ma doni che lei stessa ha ricevuto.

Si potrebbe riassumere con un gioco di parole. La Chiesa dovrebbe passare da una forza che è, in realtà, debole a una debolezza che è, in realtà forte. Per arrivare a questo, a ben pensarci, anche le Messe spopolate delle domeniche estive possono servire a qualcosa.

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