L’eutanasia nascosta
nelle pieghe della legge

Alla Camera è in discussione il disegno di legge «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari». Si tratta della possibilità di dare delle indicazioni ai medici circa le cure che si vogliono ricevere e quelle che non si vogliono, in caso di malattia grave o nella fase finale della propria vita. Il testo è già frutto di un compromesso tra coloro che vorrebbero apertamente la legalizzazione dell’eutanasia in nome dell’autodeterminazione, ed altri che formulano invece regole di piena garanzia per la vita umana più fragile, come è quella del malato. Tuttavia la discussione è ancora aperta su alcuni punti fondamentali.

Il primo e più importante è la nutrizione assistita, cioè «il diritto di accettare o rifiutare qualsiasi trattamento sanitario indicato dal medico», con la possibilità di «revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, ivi incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali» (articolo 1; comma 5). La nutrizione assistita, dal momento che richiede un atto chirurgico per creare la stomia, nello stomaco o nell’intestino, è spesso stata definita come «trattamento medico», e questa definizione viene invocata per considerare questa forma di alimentazione alla stregua di altri «trattamenti», quindi da sospendere contestualmente. Per altri invece le attuali sacche per la nutrizione artificiale non sono altro che l’evoluzione dei vecchi «siringoni» con cui i familiari somministravano frullati di cibo e acqua ai loro cari. Pertanto alimentazione e idratazione andrebbero conservate finché il malato le può ricevere, se in fase terminale diventano dannose si possono interrompere.

Attualmente succede che il medico, quando c’è un effettivo beneficio, propone l’attivazione della nutrizione assistita, ovviamente questo richiede il consenso informato del paziente, il quale può acconsentire o rifiutare. In caso di rifiuto il paziente non viene abbandonato, ma si attivano i trattamenti sintomatologici necessari per alleviare il dolore e accompagnare verso la morte. La nuova legge prevede la possibilità per il paziente di dare delle disposizioni anticipate anche su alimentazione e idratazione, togliendo al medico la facoltà di valutare l’appropriatezza e l’opportunità della nutrizione assistita. C’è pertanto il rischio di trasformarlo in un «esecutore di volontà», anche quando queste fossero dirette a provocare la morte. Per altro il testo attuale non prevede l’obiezione di coscienza per il medico o l’operatore sanitario che considerassero le disposizioni anticipate contrarie alle proprie convinzioni etiche o religiose. Per questo motivo si chiede di retrocedere le «disposizioni» a semplici «dichiarazioni» in modo da lasciare libertà al medico di valutare se la richiesta anticipata sia compatibile con la deontologia professionale e l’obbligo di cura, oppure se la richiesta apra in realtà la strada al diritto all’eutanasia.

È vero che la nuova legge non prevede la somministrazione di farmaci letali, come avviene per l’eutanasia «attiva» in Belgio e Olanda, ma è altrettanto vero che il nostro sistema sanitario si troverebbe coinvolto nell’eutanasia «passiva», cioè nella possibilità che vengano omessi interventi essenziali per qualunque tipo di paziente, non necessariamente in fase terminale o in preda a sofferenze incontrollabili. Inoltre voler estendere la facoltà di decidere la sospensione delle cure e dei sostegni vitali anche al legale rappresentante di soggetti minori o incapaci, rischia di affidare la vita di queste persone fragili, a giudizi esterni sulla loro presunta mancanza di dignità o, peggio, nelle mani di chi potrebbe desiderarne la morte per interesse o per sottrarsi all’assistenza. Per questo si chiede di introdurre che le dichiarazioni anticipate vengano redatte sempre alla presenza di un medico per accertare che ci sia almeno la capacità di intendere e di volere evitando condizioni di depressione o stati confusionali. Nella forma attuale questo progetto di legge modifica fortemente il patto di fiducia su cui si regge la relazione tra medico e paziente, perché sminuisce la professione del medico non più chiamato ad agire in scienza e coscienza, ma a mettere in pratica le disposizioni del paziente, anche qualora fossero volte a causarne la morte.

C’è inoltre il pericolo di modificare la missione stessa degli ospedali da luoghi di cura, dove si offrono trattamenti assistenziali per permettere al paziente di vivere, a luoghi di abbandono terapeutico, dove il bene della vita è affidato alla completa autodeterminazione del singolo. Mi stupisce anche il fatto che non ci sia alcun riferimento a un comitato etico. Ma soprattutto che ancora una volta si stia facendo una legge senza ascoltare il mondo dell’ammalato che è dato dal connubio fra medici e famiglie. Questi e altri nodi problematici andrebbero però affrontati prima di giungere al voto poiché come ha detto Paola Binetti, deputata e medico: «Bisogna fare chiarezza su una serie di contraddizioni che oggettivamente mantengono aperto il rischio di una deriva eutanasica».

© RIPRODUZIONE RISERVATA