L’Italia onesta
contro la mafia

«Più lavoro, meno sbirri». In questa scritta apparsa sui muri del Vescovado di Locri all’indomani della visita del presidente Mattarella si riassume la sfida della malavita organizzata. Nell’Italia del 2017 dove la disoccupazione colpisce, soprattutto al sud, la n’drangheta si presenta come datore di lavoro e dispensatore di benefici. La risposta del procuratore distrettuale antimafia Federico Cafiero de Raho evidenzia il pericolo : chi dice meno sbirri e più lavoro sono quelli che fanno fuggire le imprese che il lavoro lo danno. La sovranità dello Stato sul territorio è sempre stata opaca al Sud, adesso la malavita organizzata mette a rischio il libero mercato.

La questione è molto semplice: gli affari di mafia, camorra e compagnia vanno alla grande mentre il Paese è sempre più in difficoltà. L’assistenzialismo ha segnato la stagione delle vacche grasse quando andare a debito era consentito e vivere al di sopra delle proprie possibilità era la regola. Dal 2008 questo modello è andato in crisi e non è più praticabile con un’esposizione debitoria del 132 per cento del Pil.

Logica avrebbe voluto che in una situazione del genere il governo centrale si fosse mosso per ristabilire l’autorità dello Stato togliendo le risorse alle varie mafie. Il controllo del territorio è fondamentale, l’imprenditore vuole essere sicuro che il suo capitale vada a buon fine ed ha bisogno di servizi efficienti dalla corrente elettrica alla banda larga senza infiltrazioni malavitose che lo ricattano. La riscossione delle imposte richiede trasparenza finanziaria e quindi verifica dei contribuenti.

Scopriamo invece in una audizione parlamentare che l’esattoria regionale siciliana «Riscossione Sicilia» avrebbe dovuto riscuotere 5 miliardi e 700 milioni ma ne ha incassati solo 480 miioni, l’8 per cento. Ha un pregresso di 52 miliardi dei quali 22 non sono ancora prescritti e quindi in teoria esigibili. In compenso però il debito pubblico della Regione è cresciuto negli ultimi anni di più del 40 per cento. Sono dati noti ma l’opinione pubblica italiana ha trascurato il fenomeno all’insegna del così fan tutti. Solo con l’appello accorato del presidente Mattarella nelle tre giornate antimafia di Locri dove sono stati scanditi i nomi, uno per uno, delle 950 persone assassinate dalle mafie, l’opinione pubblica nazionale sembra scuotersi dal torpore e dalla rassegnazione. Il Paese è alle prese con in una guerra di mafia strisciante.

E guai a pensare che sia un fenomeno del solo Sud d’Italia. La mafia nelle sue varie forme è infiltrata nel tessuto connettivo del nord Italia dalla Lombardia al Piemonte alla Liguria e all’Emilia Romagna. Si offre all’imprenditoria in difficoltà ed offre finanziamenti che le banche in tempi di crisi rifiutano. La criminalità organizzata ha il problema opposto dell’imprenditore onesto e dello Stato, abbonda di denaro e ha bisogno di riciclarlo. Inoltre offre servizi per esempio nel trasporto terra o nello smaltimento rifiuti a prezzi stracciati perché nelle sue regioni di origine l’imposizione fiscale non sempre è applicata con il necessario rigore e la manodopera è sottratta al controllo degli enti preposti.

Molte aziende non sono competitive perché hanno ritardi nell’innovazione, soffrono di nanismo e suppliscono alla scarsa produttività con l’abbassamento dei costi della manodopera e con la flessibilità tipica delle strutture familiari. Sapere che qualcuno si offre a prezzi stracciati è una tentazione per molti.

Da qui il grido di dolore del presidente Mattarella che punta l’indice contro la zona grigia, quella che subisce il fascino della potenza finanziaria delle mafie. Sono imprenditori salvati dal denaro criminale ed ora al servizio di chi questi capitali li gestisce ma sono anche professionisti, avvocati, commercialisti, uomini d’affari. Mafia capitale insegna. Un reticolo di potere che prospera in simbiosi con il crimine e la corruzione.

Che fare? Solo una cosa: appoggiare quella parte della popolazione, dove la presenza mafiosa è più forte, nella sua lotta contro la prepotenza. Non sono pochi: a Locri al campo sportivo con Mattarella erano in duemila a cantare l’inno di Mameli e nessuno glielo aveva chiesto. Ci sono, hanno solo bisogno che la legalità torni a far sentire la sua voce.

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