Lo spirito di Pontida
e la discesa del Tevere

Matteo Salvini, dopo la stagione del cerchio magico bossiano fra giravolte e scandali, assapora oggi un suo momento magico, legittimato dalla piazza a leader di una destra che verrà.

Lo sbarco della nuova Lega, non più rude razza padana, a Roma in piazza del Popolo, dove storicamente si radunava il Msi di Almirante, non è un fatto banale: rappresenta una tappa decisiva nella formazione di una destra inedita. Si conosce il progetto di capitan Salvini (si fa chiamare così): superare la vecchia Lega casereccia, trasformarla in destra nazionale e riaggregare su questo formato quel che resta del centrodestra berlusconiano. L’azzardo c’è, il rischio calcolato anche: tra forzature, eccessi e qualche idea strampalata come l’uscita dall’euro che mal s’addice ad un partito che intende tutelare gli interessi nazionali. E compagni di strada imbarazzanti come Marine Le Pen, Putin e Casa Pound.

L’istantanea del pratone di Pontida, che con il suo armamentario celtico ha narrato la parabola della Lega pionieristica e poi di governo, va aggiornata. Il Carroccio che supera la linea gotica porta a spasso il malessere nordista, che neppure la cura leghista è riuscita a guarire, e lo salda alla questione italiana dove, secondo la versione apocalittica di Salvini, tutto va di male in peggio e per cui Renzi, al guinzaglio dell’Europa, se ne deve andare.

L’altro Matteo ci prova, ma non è detto che sia una passeggiata, anche perché nel frattempo deve risolvere il corpo a corpo in Veneto fra Tosi e Zaia in vista delle regionali. Lo «spirito di Pontida», che rimane lo zoccolo duro della base popolare leghista, è talmente legato al modo d’essere lumbard che difficilmente può risultare credibile al Sud, o comunque assecondato con squilli di tromba. Roma non sarà più «ladrona», ma non è scontato che sia un riparo confortevole per gli ex padani. Il problema, però, rimane.

In teoria per Salvini a destra c’è una prateria e di questo universo si può dire quel che Kissinger affermava dell’Europa: le vorrei parlare, ma non so a chi telefonare. Forza Italia è un insieme di tribù, Berlusconi è in disarmo e ha altre preoccupazioni, il suo mondo di riferimento vive la crisi più acuta: non esistono le condizioni per una ricomposizione facile del centrodestra. Già oggi nei sondaggi la Lega supera i forzisti e può essere tentata dalla corsa solitaria, che prefigura una destra tutt’altro che moderata: rivendicativa e identitaria, arroccata all’opposizione, in grado di portarsi dietro malumori degli strati popolari, forzisti in via di riciclo, nuove adesioni di chi è in cerca di una destra virile. Anche per lui il bivio è vicino: fare il pieno di voti e tenerli in frigo, o costruire una destra di governo.

C’è obiettivamente una domanda di politica anti sistema, allevata in culla dalla cecità del rigore europeo, che tuttavia si risolve in termini improduttivi: Grillo insegna. Si è detto che Salvini, personaggio pop e non afflitto da nostalgie da strapaese, è la controparte ideale di Renzi, il quale a sua volta ha bisogno di trovarsi un avversario su misura: la deriva populista della Lega rafforzerebbe il riformismo del governo, anche perché i moderati in grisaglia dovrebbero proprio turarsi il naso per digerire Madame Marine.

Quel che segna il campo da gioco fra i due Matteo è l’economia e il modo per uscire da una crisi che si trascina da sette anni. Qualcosa, però, si vede: lo spread è stato domato, la crescita è allo 0,1. In attesa che riforme come il Jobs act dispieghino i propri effetti, si affaccia una possibile ripresina. Anche in Europa l’austerità tedesca trova nella Bce di Draghi un’istituzione più attenta alle ragioni della crescita e la stesso esordio della Grecia di Tsipras dice che, volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, esiste, pur a fatica, ancora qualche residuo spazio di manovra.

In conclusione: l’affondo della Lega contro Renzi non è detto che si stia svolgendo nei tempi giusti. O meglio: i tempi possono essere sfuggiti di mano alla strategia di Salvini. Perché una possibile inversione di tendenza della recessione, nel momento in cui il Carroccio sceglie il divorzio dall’euro e dall’Europa, indebolisce il motivo principale del contenzioso con il governo e smonta il racconto alla Salvini di un’Italia da incubo. In una sterzata generale dalla democrazia rappresentativa al leaderismo, quello di Renzi rimane un antidoto a populismi più aggressivi.

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