Lo strappo di Grasso
Istituzioni in crisi

Non si spegne la polemica tra il presidente del Senato Pietro Grasso ed il Pd, a seguito dell’approvazione della legge elettorale, il cosiddetto «Rosatellum». Com’è noto, il presidente Grasso ha equiparato l’apposizione della fiducia, da parte del governo, sull’approvazione parlamentare della nuova legge elettorale a «una sorta di violenza», traendone la conseguenza dell’uscita dal Pd, non riconoscendone «più né il merito né il metodo». La decisione è stata motivata da Grasso con ragioni istituzionali, posto che la scelta del governo ha precluso al Senato la possibilità di un dibattito su una legge di così grande rilevanza. Per inquadrare l’accaduto, val la pena ricordare che il presidente del Senato rappresenta, nell’architettura e nell’equilibrio dei poteri repubblicani, la «seconda carica» dello Stato, in quanto, come prevede la Costituzione, svolge le funzioni di supplenza del presidente della Repubblica in caso di impedimento dello stesso.

Come il presidente della Camera dei Deputati, il Presidente del Senato è un’istituzione di garanzia in quanto preposto al regolare funzionamento dell’istituzione parlamentare, al di sopra dell’interesse che possano avere le singole parti in essa rappresentate.

Se questo è il quadro, allora, il fatto che il presidente del Senato giunga a una dichiarazione così forte con specifico riferimento a una legge – quella elettorale – di così delicato rilievo e impatto istituzionale non dovrebbe essere un episodio liquidabile come una polemica qualunque o, peggio ancora, come una faccenda di equilibri interni al (centro)sinistra, ma come la spia di un profondo malessere delle istituzioni. La scelta di Grasso di comunicare preventivamente la sua decisione alle più alte cariche istituzionali chiama in causa nella vicenda, seppur in modo rispettoso e discreto, anche il presidente della Repubblica cui compete il potere di promulgazione della legge.

Il malessere delle istituzioni è testimoniato anzi tutto dal merito della vicenda richiamata da Grasso, e poi anche dalla reazione seguita alle sue parole. Il fatto in sé è ormai noto e cioè l’approvazione, con la fiducia, a pochi mesi dalla fine della legislatura, di una nuova legge elettorale per Camera e Senato, in un tempo in cui, anche a voler tacere della giurisprudenza della Corte di Strasburgo a riguardo, il cosiddetto velo di ignoranza che dovrebbe favorire scelte lungimiranti è ormai a brandelli e i partiti ragionano di regole solo con il criterio del particolare e immediato tornaconto. La Costituzione non esclude esplicitamente il voto di fiducia per l’approvazione della legge elettorale; e tuttavia vieta il ricorso, nello stesso ambito, a procedimenti legislativi abbreviati, con ciò manifestando un favore per una procedura di approvazione rispettosa della dialogicità tipica del parlamentarismo. Oltre tutto, se la questione di fiducia è normalmente apposta per compattare la maggioranza parlamentare attorno a un provvedimento reputato essenziale per l’indirizzo politico del governo, in questo passaggio lo strumento ha subito un’ulteriore torsione, perché è stato usato per strozzare il dibattito parlamentare non tanto per volontà del governo Gentiloni, ma dei vertici del partito (il Pd) di maggioranza relativa, che voleva in questo modo mettere al sicuro l’accordo con un partito d’opposizione (Forza Italia).

La legge che ne è scaturita si traduce in un sistema misto tra quote proporzionali e maggioritarie, privo di una visione di senso, ma comprensibile solo come patto tra partiti (Pd e Forza Italia in primis) per azzoppare il terzo incomodo (il Movimento 5 Stelle), assai meno propenso a fare coalizioni. Ancora una volta, pertanto, si consumano forzature strumentali e gravi a danno della logica garantistica che sovrintende al funzionamento delle istituzioni. E nelle reazioni suscitate dalla decisione di Grasso troviamo una conferma del preoccupante smarrimento di una zona di rispetto per le istituzioni. Da ultimo, il capogruppo Pd alla Camera, Rosato, «padre» della nuova legge elettorale, si è detto «stupito per la scesa in campo di Grasso, proprio per il ruolo istituzionale che ricopre, in maniera così diretta contro un partito che fino a ieri è stato il suo partito», alludendo a un diverso percorso politico di Grasso e usando l’immagine calcistica – questo è il tono – dell’intervento «a gamba tesa»…

Insomma, la mossa di Grasso è ridotta ad anticipazione di un possibile diverso posizionamento partitico. Regole costituzionali, legge elettorale, cariche di garanzia: tutto pare ormai trascinato nel gioco pericolosamente leggero delle parti, che fa progressivamente venir meno quella indispensabile zona di rispetto per le istituzioni che sola permette alle diverse forze politiche e, prima ancora, ai cittadini di riconoscersi, al di là e al di sopra delle lealtà particolari, entro un orizzonte di bene comune.

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