Manovra furba
ma c’è lo sviluppo

E così, alla fine, la manovra di bilancio è stata di 27 miliardi. Oltre le previsioni, anche se più della metà della cifra, circa 15 miliardi, evita semplicemente l’ aumento automatico di due punti di Iva, questione che ci trascineremo ancora (fino a quando qualcosa scatterà, e saranno 23, o 24!). La seconda macrocifra nascosta dentro i 27 miliardi, riguarda i 12 che non vengono da tagli ma sono «in deficit», cioè utilizzando gli spazi europei di differenza tra entrate e spese fino al 3% (sempre dimenticando l’ altro paletto, quello del debito, che per l’ Italia è ben sopra il doppio di quanto consentito).

Dichiaravamo di fermarci al 2%, siamo al 2,3% e a Bruxelles dovranno accontentarsi dello 0,1% di miglioramento che abbiamo comunque segnato. Si tratta di uno spazio simbolico, che si colloca sul crinale tra politiche di austerità e politiche espansive, le prime che piacciono alla Commissione, le seconde che - sposando il modello Obama - ormai caratterizzano la nuova linea economica di Matteo Renzi.

La terza rilevante caratteristica della manovra riguarda infine la questione tasse, ossessione degli infiniti talk show di questi anni, con il Governo sempre a ricordare che non sono aumentate e i Brunetta di turno a denunciare le presunte menzogne. Ebbene, lo sforzo di evitare di incrementare la pressione fiscale sul triennio venturo è apparentemente riuscito, almeno per quanto riguarda le imprese (per le famiglie, il ritocco Irpef è rinviato) perché sono confermati il taglio Ires e il superammortamento, ma non solo, perché sono estesi agli autonomi per la prima voce e salgono al 250% per gli investimenti digitali.

Il problema, come sempre, sta nella copertura. Non si vedono significativi esiti di spending review, e 6 miliardi di riduzione sono di fatto una partita di scambio tra contribuenti che partecipano alla scommessa sullo sviluppo e contribuenti in difetto verso il fisco (rientro di capitali dall’ estero e sanatoria delle pendenze con Equitalia). Uno scambio virtuoso, che però appartiene alla categoria dei condoni, e soprattutto è «una tantum». Questi dunque i grandi capisaldi della legge di Bilancio, a cui si aggiungono un’ attenzione non generosa ma sempre da altri trascurata verso povertà e famiglie e infine pensieri gentili per varie categorie: i diciottenni, gli albergatori, le maestre d’ asilo, gli infermieri. E qui siamo alla politica, come è giusto e fisiologico che sia.

Nei dibattiti in tv si attacca il governo per esodati e vessazioni di Equitalia? Salvini avrà qualche difficoltà in più, perché si smonta Equitalia (ma qualcuno la sostituirà, intendiamoci) e si fa una contromanovra sulla Fornero ispirata alla facilitazione dell’ anticipo pensionistico, dopo la fase dei prolungamenti a sorpresa.

Magari sarà tecnicamente complicata e la gente dovrà fare calcoli non facili, ma persino la questione paralizzante (o l’ alibi?) dei lavori usuranti, è stata in qualche modo definita.

Ma la parte migliore, la cifra qualitativa della manovra è quella che porta il segno del ministro Calenda, che ha fatto in tempo ad inserire i pilastri di «Industria 4.0». C’ è una giusta attenzione al manifatturiero, riscoperto nel suo ruolo trainante, coerente e non alternativo con le priorità dell’ innovazione.

Emerge soprattutto la centralità del fattore produttività. Ci sono 16 miliardi complessivi di incentivi (da aggiungere ai tagli Ires), che caratterizzeranno il Bilancio per ben otto anni, ma i cui effetti per le imprese saranno anticipati già nel 2017. Ma non solo. Ci sono il bonus ricerca rafforzato, 900 milioni sul fondo di garanzia, che possono mettere in moto fino a 25 miliardi per le imprese. E soprattutto c’ è un metodo nuovo che valorizza la neutralità tra imprese e tra settori. Quasi una sfida ad una imprenditoria che viene incoraggiata a uscire da una fase solo difensiva Non c’ è il tema occupazione in primo piano, ma l’ occupazione è la conseguenza della crescita di un sistema, almeno si spera.

In definitiva, insomma, una manovra politicamente furba, che mette nei titoli la questione pensioni e rinnovi contrattuali pubblici, cioè spesa corrente, ma che ha nel motore delle potenzialità per lo sviluppo, il grande problema dell’ Italia, ferma da cinque lustri. Non sarà un Bilancio pre-referendum a rilanciarla, ma qualche buona premessa c’ è.

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