Migranti, il senso
della realtà possibile

Ci sono momenti della storia in cui non è per niente semplice trovare risposte immediate e adeguate. Soprattutto nelle società contemporanee dove, di fronte a fenomeni complessi che sembrano minare le nostre certezze, ci sentiamo sempre più impotenti e (forse) non garantiti dalle istituzioni. È quanto accade con il fenomeno migratorio, la cui emergenza ormai non è solo una questione politico-sociale, ma anche culturale. Anzi, qualcosa di più forse: una sfida per la nostra coscienza civica.

Una sfida non da poco, che ci impone di individuare soluzioni equilibrate, meditate, condivise e, al tempo stesso, concrete. Non basta dunque ribadire, in astratto, che i diritti umani sono universali: occorre mettere in primo piano il senso etico della giustizia. Soltanto così quei diritti possono essere applicati all’interno di un sistema sociale e culturale che li tuteli e li coltivi.

Davanti a flussi migratori che molti, giustamente, definiscono epocali, il diritto quindi può e deve essere uno strumento indispensabile per avviare un cammino di inclusione, nel segno della legalità e del rispetto della dignità delle persone «in movimento». Il diritto può e deve favorire la creazione di comunità a basso conflitto sociale, capaci di gestire l’integrazione, riconoscendo la diversità e rispettando insieme i diritti e i doveri di ogni singolo individuo, quale che sia la sua provenienza.

Inutile dirlo, il diritto da solo non è sufficiente. Il fenomeno migratorio è una questione talmente ampia, complicata e sempre in evoluzione che richiederà ancora tempo, sforzi e riflessioni continui per arrivare alla definizione di assetti sociali il più possibile equilibrati. Occorre un impegno collettivo, da parte di tutti, di tutti i governi e di tutti noi cittadini. Di tutti, ma soprattutto ovviamente delle Istituzioni preposte alla formazione dei giovani, come la scuola e l’università, che devono svolgere un ruolo difficile, ma che rientra appieno nella loro missione: promuovere il dialogo e lo scambio tra culture ed esperienze diverse, impegnandosi a comprendere la natura complessa della realtà dei fenomeni migratori e affrontandola strategicamente con interventi il più possibile adeguati.

Ecco, dobbiamo cominciare a pensare alla scuola e all’università come a dei laboratori sperimentali sulle dinamiche della nostra contemporaneità, come a luoghi cioè dove si apprendono metodologie multidisciplinari che aiutino le nuove generazioni a porsi in una prospettiva non solo locale, ma anche europea e mondiale. Una strada percorribile e da incentivare in tutti i modi, in grado di attivare, sul piano dell’offerta formativa, processi concreti di dialogo e «accoglienza» che non possono che avere ricadute positive sulla società. Tanto più in un contesto sempre più allarmato come il nostro, dove l’acutizzarsi del senso di incertezza rischia di trasformarsi in aggressività pura e smania di autodifesa.

Diritto dunque e formazione mirata, perché la possibilità di forme di integrazione virtuose, che riducano cioè al minimo la conflittualità, va conquistata sul terreno del «pensiero», nella ricerca faticosa ma necessaria di nuove idee e nuovi presupposti della convivenza nelle nostre società. Certo, bisogna avere il «senso della realtà», ma come ci ha insegnato Robert Musil nell’Uomo senza qualità bisogna anche avere il «senso della possibilità». Che è poi la capacità di chi non si arrende e considera la realtà come «un compito e un’invenzione», nella consapevolezza che le sue idee «non sono altro che realtà non ancora nate». Possedere il senso della realtà, ma come un «senso della realtà possibile»: mi sembra un suggerimento e un modo di affrontare la drammatica questione del fenomeno migratorio quanto mai lungimirante, da sviluppare e di cui tutti dovremmo far tesoro.

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