Migranti irregolari
Lo stop e gli spot

Fra i buoni propositi per il nuovo anno, il governo Gentiloni ha inserito anche un atto contro l’immigrazione irregolare. Il capo della Polizia Franco Gabrielli, d’intesa con il ministro dell’Interno Marco Minniti, ha infatti diramato a prefetti e questori una circolare urgente perché vengano attivati piani straordinari di controllo del territorio con l’obiettivo di individuare e di rimpatriare nei Paesi d’origine stranieri clandestini. A questo scopo in ognuna delle venti Regioni verranno istituiti a breve Centri di identificazione ed espulsione: attualmente sono solo quattro (a Brindisi, Caltanisetta, Roma e Torino) per una capienza di 360 persone. La circolare prevede inoltre azioni contro le attività che fanno ricorso a manodopera clandestina, da quelle criminali al lavoro nero.

Lo Stato ha il dovere di contrastare l’immigrazione irregolare, un fenomeno che contravviene appunto alle regole che lo stesso Stato si è dato. Qui non è in discussione il principio, ma la possibile efficacia dei provvedimenti per realizzare il principio. L’Italia negli anni passati è stata un ponte fra il Mediterraneo e i Paesi del Centro e del Nord Europa: i migranti sbarcavano sulle nostre coste e poi si dirigevano in prevalenza oltre le frontiere, alla ricerca di migliori condizioni d’integrazione. Consapevoli di questo fenomeno, i governi di ogni colore hanno chiuso un occhio. Ancora nel 2011, l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi concesse un permesso umanitario alle migliaia di maghrebini in fuga dai sussulti delle Primavere arabe e approdati sulle coste siciliane.Grazie a quel permesso molti africani raggiunsero altri Stati europei. Ma in tempi recenti lo Stivale ha smesso di essere un ponte. I Paesi confinanti con l’Italia hanno sigillato le frontiere e così da terra di passaggio siamo diventati di permanenza. Un cambiamento avvenuto in concomitanza con il record nel 2016 di migranti sbarcati:181.283. L’80% di chi poi fa domanda d’asilo, riceve il diniego delle commissioni territoriali competenti, dopo un iter che può durare fino a tre anni.

Ancora nel 2016, sono stati 5.789 i migranti riaccompagnati nei Paesi di origine in seguito a un provvedimento di espulsione (i provvedimenti emessi complessivamente sono stati 38.284). L’obiettivo del nuovo piano messo a punto dal ministero dell’Interno è di raddoppiare a breve il numero delle espulsioni per poi quadruplicarlo. Ma i rimpatri sono difficili da portare a termine, anche in presenza di una volontà politica non «buonista». Richiedono infatti la sottoscrizione di onerosi e complessi accordi bilaterali con gli Stati di provenienza dei migranti. Oggi sono operativi quelli con Egitto, Nigeria, Tunisia, Marocco e Sudan, Paesi che però non generano grandi flussi migratori. Lo stesso ministero dell’Interno inoltre valuta che per rimpatriare 10 mila stranieri irregolari sono necessari 116 voli e 20 mila poliziotti. E ogni rimpatrio costa tra i 3.000 e i 5.000 euro. Il nuovo piano poi chiama a un ruolo più efficace anche le amministrazioni locali e la polizia municipale, un aggravio che non fa i conti con i tagli ai quali gli enti territoriali sono stati sottoposti in tempi di spending review. Anche le forze dell’ordine statali del resto non godono certo di buona salute su questo fronte. Conosciamo la possibile obiezione: i milioni di euro spesi per l’accoglienza dei richiedenti asilo che poi nella maggioranza ricevono risposta negativa alla domanda andrebbero investiti a sostegno delle forze dell’ordine. Ma è un banalizzazione: fino al diniego quei migranti sono portatori di diritti sanciti dalle leggi.

In termini di efficacia, anche le politiche degli altri 27 Paesi europei per l’accompagnamento dei migranti irregolari nelle terre di provenienza sono state fin qui carenti. Nel 2015 dal Vecchio Continente sono stati eseguiti mezzo milione di rimpatri. La Commissione Ue ha recentemente ammesso come meno del 40% degli irregolari a cui viene ingiunto di lasciare l’Unione è effettivamente partito. Ancora una volta il deficit più decisivo riguarda gli accordi di riammissione: solo 17 quelli stipulati a livello di Ue. Negli altri casi ogni Paese fa da sé con accordi bilaterali.

Un anziano saggio e colto, bollato in Europa come reazionario dalle «intelligenze» progressiste e strumentalizzato dalle destre oltranziste, ha scritto pagine preveggenti riferibili anche al tema delle migrazioni, appelli alla coscienza del continente caduti nel vuoto. «La politica - ha detto il Papa emerito Benedetto XVI nel recente libro “Ultime conversazioni” - vive di una filosofia. Non può essere semplicemente pragmatica, fermarsi al “facciamo qualcosa”. Deve avere un’idea della totalità». Sul fronte dell’immigrazione è risaputo che l’Europa non ha prodotto azioni multiraterali, lasciando soli i Paesi più esposti come Italia e Grecia. Un’inerzia non solo figlia del ritorno degli egoismi nazionali che fanno tabula rasa pure del meglio degli ideali europeisti, ma proprio dell’assenza a monte di un’idea di totalità, di uno sguardo profondo non ripiegato appunto sulle contingenze ma capace di leggere la realtà avendo come prospettiva il mondo. Si procede per aggiustamenti, anche buoni nelle intenzioni, ma che nel tempo non reggono alla forza d’urto dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo, dei quali l’immigrazione è uno dei segni.

Eppure è la stessa realtà a indicarci la strada. La tregua finalmente in corso in Siria, è stata possibile perché tre grandi potenze (Russia, Turchia e Iran) con il consenso tacito degli Stati Uniti hanno trovato una soluzione condivisa. Anche noi cittadini elettori europei dovremmo fare un proposito per il nuovo anno: chiedere una politica che non viva di consensi spiccioli, di rendite a breve termine, ma che abbia un’idea della totalità. In gioco c’è pure la stima per noi stessi.

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