Migranti, ognuno
faccia la sua parte

Ognuno faccia la sua parte. Mentre nell’Unione europea finalmente fa breccia il principio di un’equa distribuzione fra i 28 Stati membri dell’accoglienza dei profughi che scappano da guerre e persecuzioni, dal Medio Oriente al Nord e al Corno d’Africa, come si procede in Italia? Il sacrosanto vincolo dell’equa distribuzione rivendicato dal nostro governo in Europa, ha però un’applicazione zoppicante nel nostro Paese. Lo dicono i numeri: la Sicilia, meta del 90% degli sbarchi, accoglie quasi il 22% dei rifugiati, o comunque di coloro che sono ancora in attesa di veder riconosciuto questo status.

Una sola Regione quindi si adopera come altre quattro messe insieme: Veneto (4%), Lombardia (9%), Piemonte (5%) e Friuli Venezia Giulia (3%). La Valle d’Aosta, tramite il suo presidente Augusto Rollandin, ha fatto sapere che non ha intenzione di dare ospitalità a 79 nuovi profughi, ospitandone già 61. Stiamo parlando di una Regione a Statuto speciale, che gode quindi di benefici della finanza pubblica inaccessibili alle altre, e con un reddito procapite di 36 mila 800 euro, più del doppio della Calabria, che dà accoglienza al 7% dei profughi arrivati di recente in Italia. Ieri il governatore Roberto Maroni ha ribadito che «la Lombardia non è disposta ad accogliere altri migranti. L’ho detto chiaramente al governo e al ministro Alfano e mi pare che questa posizione sia condivisa dalla maggioranza dei sindaci, compresi quelli di centrosinistra». A parlare è lo stesso Maroni che in altre vesti, quelle di ministro degli Interni, nel 2011 stabilì proprio il principio dell’equa distribuzione – proporzionale al numero di abitanti e al reddito procapite – dei migranti sul territorio nazionale.

La grave crisi umanitaria che separa le sponde del Mediterraneo cade mentre l’Italia è in campagna elettorale (per le amministrative si voterà il 31 maggio prossimo) e un tema scabroso come quello dell’immigrazione si presta a polemiche e strumentalizzazioni, nella perdurante crisi economica che alimenta inquietudini sociali e disincanto e a maggior ragione in un Paese che sconta un deficit di conoscenza del fenomeno migratorio: noi italiani siamo i peggio informati sul tema tra i 34 Stati membri dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), complice anche una narrazione mediatica che tende a ingigantire i problemi. O alla contrapposizione: nei talk show più populisti si continua a ricordare che ogni giorno i rifugiati riceverebbero dallo Stato 35 euro, oltre a vitto e alloggio (la somma in realtà viene data alle strutture per coprire le spese dell’accoglienza, ai migranti va direttamente una diaria di 2,5 euro), opponendo questa cifra al nulla che ricevono tanti disoccupati italiani. Ma contrapporre due ragioni non risolve i problemi dei nostri poveri.

Bisognerebbe battersi perché l’urgenza della povertà diventi centrale nell’agenda del governo (oltretutto i fondi per i rifugiati spesso arrivano dalla Ue, per il tramite di Roma), invece di accusare di business gli enti non profit che si prendono in carico l’accoglienza dei rifugiati. Carico che a Bergamo è quasi tutto sulle spalle della Chiesa, tramite la Caritas diocesana e la cooperativa Ruah, sia per la disponibilità degli spazi (con l’eccezione dell’edificio della vecchia Casa di riposo del Gleno) che degli operatori e dei volontari.

Nei giorni scorsi il Viminale ha inviato alle prefetture una circolare prevedendo di distribuire un centinaio di profughi per ogni provincia, per un totale di 9 mila persone, escludendo la Sicilia che sopporta appunto il maggior peso dell’accoglienza. Per altro esistono inique distribuzioni anche all’interno di Regioni e Province: i Comuni italiani coinvolti per dare un tetto sono infatti 500 su 8 mila...Evidentemente lo Stato ha ancora spazi d’azione non sfruttati e deve mettere in campo nuove risorse, senza affidarsi solo e sempre ai «soliti noti».

Ma al di là dei numeri la sensazione è che a livello di dibattito pubblico manchi il senso del dramma di ciò che sta avvenendo a sud del Mediterraneo: altrimenti il confronto non sarebbe così sbracato. Stiamo vivendo un periodo storico di gravi turbolenze geopolitiche, che chiamano in causa anche responsabilità di nostri governi, accodatisi alle nefaste guerre in Iraq e in Libia. Ora raccogliamo le macerie di quel dilettantismo. Lontano dai riflettori e dagli strepiti mediatici c’è un’Italia che lavora per rispondere alle ferite generate anche da quei conflitti, praticando le buone prassi dell’accoglienza con realismo e carità (parola cristiana in disuso).

Un’altra circolare di Alfano nei giorni scorsi introduceva la possibilità di un impiego dei richiedenti asilo, che nella lunga attesa (anche un anno) di una risposta sul loro status non possono lavorare, come volontari al servizio delle comunità locali: un’esperienza che a Bergamo è già in atto. Questa realtà operosa, che precede anche gli interventi della politica, non deve però essere usata a pretesto per latitare. È davvero ora che ognuno faccia la sua parte.

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