Mps, agire in fretta
per salvarlo

Ecco la prima vittima eccellente della crisi di governo e della fase di instabilità politica che stiamo vivendo: il Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo (1472, prima della scoperta dell’America), la terza d’Italia con i suoi 26 mila dipendenti e i suoi cinque milioni di clienti. Il Consiglio di vigilanza della Bce ha infatti negato la miniproroga di venti giorni che la banca guidata dall’amministratore delegato Marco Morelli aveva chiesto. Quella piccola moratoria serviva per arrivare a un quadro politico più chiaro, necessario a ottenere l’aumento di capitale di cinque miliardi di euro di cui l’istituto di credito ha bisogno per non fallire.

Venti giorni preziosi, a detta dei suoi vertici, per richiamare in gioco il fondo sovrano del Qatar e altri fondi americani come quello di Soros, incerti se investire o no alla luce dell’indeterminatezza del quadro politico e della mancanza di interlocutori di governo. Il risultato è che dopo la decisione di Francoforte il titolo è andato a picco, toccando perdite del 16 per cento, per poi risalire al 10,5, non senza contagiare in Piazza Affari gli altri titoli bancari. E ora non resta che il salvataggio di Stato, dopo vent’anni di inni al mercato e alle liberalizzazioni, con il ritorno annunciato in grande stile dello «Stato banchiere», come negli anni ’30 dello scorso secolo, quando sull’onda della crisi del ’29 gli istituti di credito vennero tutti nazionalizzati dal regime.

I tecnici del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan avrebbero pronta una bozza di decreto da approvare entro il weekend che conterrebbe l’acquisto di bond subordinati detenuti dai risparmiatori (da convertire in azioni) e persino un intervento diretto nel capitale della banca. Si parla anche della richiesta di fondi dell’Esm (il fondo salva-Stati e salva-banche europeo, già utilizzato per il credito spagnolo) e la creazione di un vero e proprio fondo «ad hoc», sempre con le risorse dell’Esm (tra i 15 e i 25 miliardi di euro), in grado di mettere fine alle difficoltà di altri istituti di credito italiani che stanno disperatamente cercando vie d’uscita dalla crisi. Ma Bruxelles ha smentito qualsiasi ipotesi di prestito in virtù della concorrenza finanziaria.

Questi interventi sarebbero possibili grazie all’articolo 32 della direttiva Brrd (quella che ha introdotto il cosiddetto «bail in», il salvataggio condizionato delle banche) che permette di erogare aiuti di Stato in caso di «rischio sistemico». E di rischi del sistema qui se ne vedono tanti, poiché il contagio di Monte dei Paschi potrebbe estendersi non solo alla fitta e capillare rete linfatica finanziaria che sorregge l’economia delle famiglie e delle aziende che ruotano intorno a Mps, ma anche a gran parte della sfera economica nazionale, con un effetto domino.

Ecco perché dobbiamo agire in fretta, a dispetto della crisi politica e gli «eccessi regolatori» di Bruxelles. Ribadendo ancora una volta che i tecnocrati dell’Unione hanno chiuso le porte degli aiuti di Stato all’Italia dopo averle lasciate spalancate ai tempi in cui ne hanno avuto bisogno la Germania, la Spagna e altri Stati dell’Unione. Dal 2011 al 2014 la Merkel ha largamente sovvenzionato le perdite delle banche tedesche in crisi, dopo lo scoppio della crisi dei derivati che molti istituti avevano in pancia. È stato calcolato che il governo di Bonn ha speso 144 miliardi nel 2013, pari al 5,3 per cento del Pil del Paese. L’Italia non ne ha avuto bisogno. Ne avrebbe bisogno ora per evitare, oltre che il fallimento di Mps e il contagio di tutto il sistema economico finanziario di cui abbiamo detto, anche una fuga dei capitali. Ma le nostre esigenze rischiano di scontrarsi con la freddezza dei tecnocrati che già avevano dato prova di sé ai tempi della «Troika» in Grecia. Col rischio di un ennesimo strappo tra Roma e Bruxelles.

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