Orio, Ryanair
e le rotte future

Sebbene siano profondamente «connaturate» l’una nell’altra, considerare Sacbo e Ryanair come una «cosa sola» è del tutto fuorviante, tanto più oggi, dopo che la «regina europea» del low cost ha riempito pagine e pagine di giornali per le note vicende legate alla cancellazione di centinaia di voli, compresi quelli da e per Bergamo. Che la società di gestione dello scalo di Orio e la compagnia aerea irlandese siano legate a filo doppio è sotto gli occhi di tutti da poco più di quindici anni, ma da qui a dire che dalle sorti dell’impresa di O’Leary dipendano anche quelle del «Caravaggio» ce ne passa, anche perché è ancora tutto da dimostrare che quella che ha «travolto» Ryanair sia una crisi strutturale, capace cioè di mettere in ginocchio il colosso di Dublino. Benché se ne siano dette e se ne siano scritte di tutti i colori, a quanto dicono gli esperti la società irlandese dispone di solidi capitali in grado di far fronte all’emergenza scoppiata (più o meno improvvisamente) nelle ultime settimane, e le energiche azioni intraprese nei giorni scorsi dal «leader maximo» della compagnia danno l’idea che le intenzioni di riprendere quota non siano soltanto di facciata. Del resto è di questi giorni la notizia che le prime due compagnie europee in grado di fare marginalità volando nei cieli del Vecchio Continente sono ancora Ryanair (al primo posto anche nel 2016) e Wizz Air.

Certo, un prezzo andrà pagato, ed è probabile che nei prossimi mesi i conti di Ryanair siano meno brillanti del solito, ma come spesso accade - almeno agli occhi dei consumatori - la vicenda sarà presto archiviata come un brutto ricordo. Tuttavia, nonostante le 28 frequenze settimanali cancellate dallo scalo bergamasco (per un ammontare di 566 partenze da novembre a marzo compresi), gli irlandesi saranno in grado di far registrare su Orio un tasso di crescita invernale del 4,2 per cento. Non ci fossero state le defezioni, la crescita avrebbe sfiorato il 10 per cento (9,9), ma Ryanair (e la stessa Sacbo) può comunque ritenersi soddisfatta del risultato, dato il «polverone» in cui l’incremento è stato generato. Del resto, abbandonate le mire per la «conquista» di Alitalia (di cui parlano in pochi, ma che continua a volare nonostante nel 2016 abbia perso molto di più di Air Berlin, che il 28 ottobre smetterà di operare), O’Leary ha già fatto sapere che tutti i suoi sforzi saranno tesi a riconquistare il terreno perduto, e non c’è motivo di dubitare che non sarà così, anche solo per tornaconto personale, oltre che aziendale.

Andare ora all’assalto del «Caravaggio» sulla scia delle «disgrazie» di Michael O’Leary non ha alcun senso, non fosse altro perché, oggi come oggi, l’aeroporto di Orio al Serio produce oltre il 9 per cento del Pil della Bergamasca, dando direttamente lavoro a 5.000 persone e, indirettamente - grazie all’indotto che scaturisce dalle attività connesse allo scalo -, ad altre 12 mila, realizzando così una vera e propria «industria» che, negli anni, è stata capace di mutare sensibilmente il tessuto produttivo della nostra provincia. Fatti due conti, non si sta parlando esattamente di briciole.

L’alleanza Sacbo e Ryanair ha poi consentito un ulteriore sviluppo della nostra Università: basta dare un’occhiata ai dati per notare come almeno 1.500 studenti stranieri iscritti all’ateneo di Bergamo lo hanno fatto grazie alle rotte di Ryanair (che oggi collega Bergamo con altre 117 città). Ormai celebre la battuta del rettore Remo Morzenti Pellegrini: «Molti studenti impiegano meno ad arrivare in aula partendo da Lamezia Terme che dalle nostre Valli», associando così anche il grande tema delle (mancate) connessioni viabilistiche tra la città e, appunto, le Valli bergamasche.

Non va poi dimenticato che, a fronte della totale mancanza di contributi pubblici (Orio non ne ha mai beneficiato nella sua recente storia), Sacbo ha sempre regolarmente distribuito utili ai propri soci (quasi 13 milioni e mezzo nel 2016, un milione in più di quanto fatto nel 2015, con stime per il 2017 che indicano una crescita dell’11,1% per i ricavi derivanti dall’«aviation» - tutto ciò che vola - e del 4,8% dalla «non aviation» - tutto ciò che non vola), non «scordandosi», in particolar modo negli ultimi tempi, di far ricadere anche qualche soldino su diverse iniziative del territorio.

Ma a far discutere, nei giorni scorsi, sono stati invece i 28 milioni di euro che anche quest’anno Sacbo ha versato a Ryanair sulla base dei contratti commerciali che la società di gestione stringe con gli operatori turistici e le compagnie aeree per la loro «capacità di attrarre» viaggiatori sullo scalo bergamasco. Si tratta di normali operazioni di «co-marketing», come sono chiamati tecnicamente questi accordi, in grado di generare utili preziosi per le società aeroportuali che li sanno gestire con accuratezza, come indiscutibilmente fatto finora dallo scalo bergamasco. Che, oggi, è il terzo aeroporto del Paese, ancora in crescita, a dimostrazione che unendo grande intuito ed efficiente programmazione è possibile passare dallo «scalo della notte» (cargo e voli notturni, grazie ai quali il Caravaggio ha iniziato la sua ascesa) a una delle più importanti «connessioni» del sistema aeroportuale nazionale ed europeo, rappresentando ancora oggi una delle esperienze più innovative in grado di incidere significativamente nella storia dell’aviazione civile del nostro Paese.

Ed è questo lo «status» che lo scalo di Orio deve mantenere, cercando nuove strade e nuove strategie per consolidare sempre di più la propria posizione, con Ryanair (se sarà ancora al suo fianco) o con qualcun altro (l’esperienza dovrà pur insegnare qualcosa, no?) , se le cose dovessero prendere una piega diversa. La corsa elettorale in cui tutto e tutti si sono ahinoi infilati da qualche settimana non giova certo a questa prospettiva, che andrebbe condotta con piglio deciso senza ulteriori indugi. Ma la prospettiva delle urne, costellata da iperboli progettuali e politiche per i prossimi sei mesi, racchiude in sé la certezza che fino alle porte della prossima estate tutto rimarrà com’è. Il che non è sempre un male, se la rotta da seguire non è condivisa da tutti.

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