Partiti al collasso
Politica in affanno

Non dovevamo diventare un Paese normale? Non c’eravamo ripromessi mai più una Repubblica dei partiti? Bando perpetuo ai suoi riti consociativi, alle collusioni sotterranee di maggioranza e opposizione, alle pratiche spartitorie, parenti prossime della corruzione? Nel patto stretto agli inizi degli anni Novanta tra elettori e padri fondatori dell’altisonante Repubblica dei cittadini, patto santificato con un battesimo referendario, non stava scritto che lo scettro sarebbe tornato nelle mani del popolo e che a lui - e solo a lui - sarebbe stato attribuito il potere di scegliere i governi?

Sono domande che sorgono spontanee di fronte allo spettacolo del mercanteggiamento messo in scena in Sicilia in vista del rinnovo dell’assemblea regionale. Vada che i partiti stringano alleanze elettorali definendo candidature e impegni programmatici. Ma di tutto questo non si vede traccia. Dalle cronache risulta solo la trattativa condotta da centro-sinistra e centro-destra per assicurarsi i voti del pur scarso seguito di Alternativa popolare in cambio della garanzia di procurargli la sopravvivenza. Spregiudicato Alfano, ma spregiudicati non di meno i suoi interlocutori che non si fanno scrupoli a trattare un accordo di legislatura in cambio della semplice promessa di alcuni posti sicuri in lista. Di fronte a questo spettacolo è facile indulgere allo sdegno dando sfogo al sarcasmo sui vizi inestirpabili di una casta interessata solo a conservarsi al potere. La tentazione è forte ma cedervi sarebbe solo una via di fuga per evitare la presa d’atto dei cambiamenti intervenuti in questi anni nell’orizzonte politico nonché dall’assumersi le responsabilità che anche cittadini si sono presi nel secondare questi sviluppi.

La prima ragione del dilagare dei comportamenti opportunistici (si pensi solo ai 501 cambi di casacca attuati da 324 parlamentari in quattro anni di legislatura) si deve al collasso dei tanto bistrattati partiti della Prima Repubblica. La loro forte caratura ideologica, unita ad una salda organizzazione, forniva un freno formidabile all’abbandono della squadra di appartenenza. Inoltre, la cosiddetta conventio ad excludendum che teneva ai margini della trattativa di governo le opposizioni sia di destra che di sinistra restringeva l’area dello scambio politico ai soli partiti di centro, disincentivando in tal modo ogni cambio di casacca. Venuto meno ogni argine al rispetto del mandato fiduciario rilasciato dagli elettori, ogni eletto si sente ora libero di trasmigrare dove meglio crede (nel migliore dei casi), o dove più gli conviene (nel peggiore).

Alla regola non si sottraggono gli stessi grillini che pure fanno del mandato imperativo la propria bandiera. Nei primi due anni di legislatura sono nove i deputati e diciassette i senatori che hanno abbandonato il gruppo. A mettere – per così dire – a regime la prassi della trattativa interpartitica e ad incentivare la nascita di nuove – spesso effimere –formazioni, in barba alla decantata lotta alla frammentazione partitica, è poi il ritorno in auge del sistema proporzionale che sposta dagli elettori agli eletti il potere di scelta dei governanti. Nel promuovere il suo riscatto non si sono certo tirati indietro i politici, a partire da Berlusconi per finire con Bersani, passati senza colpo ferire da sostenitori a detrattori del maggioritario. Ma non sono senza colpa nemmeno gli elettori che prima hanno affossato e poi riabilitato il proporzionale. Il che ha comportato il cambio delle regole del gioco e con ciò la creazione delle condizioni ideali per i deprecati comportamenti opportunistici. Lo sdegno è legittimo, anzi doveroso. Perchè però non sia un’inutile e vacua lamentela va accompagnata da un’iniziativa che rimuova le cause della patologia lamentata.

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