Pd, dopo le primarie
una corsa ad ostacoli

Una certa stanchezza del popolo dem ha segnato le primarie del Pd di oggi, aperte anche agli elettori, che probabilmente restituiranno la guida del partito a Renzi. Un risultato, se effettivamente sarà questo, già predeterminato dal voto degli iscritti, anche perché il vero scontro politico era stato risolto (risolto nel senso di consumato) con la diaspora dei bersaniani, lasciando il campo ad una normale dialettica. Lo strappo non ha creato traumi sul piano dei numeri, ma ha influito in negativo sugli umori della base, che l’ha vissuto come un danno, una ferita. Il dato politico, quindi, riguarda l’affluenza la cui soglia accettabile è stata fissata a un milione di schede, in una fase peraltro in cui il rito delle primarie dà segni di logoramento e suscita qualche perplessità nello stesso Pd. Chiusa la fase penitenziale della sconfitta al referendum costituzionale, questione però più rimossa che discussa, Renzi arriva a questo appuntamento con la voglia di riprendersi la centralità persa e ora rilegittimata, ma in un quadro politico e ambientale più sfavorevole rispetto all’energico esordio.

Il tocco magico non è più quello del 2012-2013, la spinta al cambiamento non ha la freschezza di quei tempi e l’impatto di un’eventuale vittoria di Macron potrà forse dare una mano all’ex premier, ma difficilmente inciderà sull’azione di contrasto ai grillini. Oltre all’affluenza bisognerà comunque misurare la distanza fra i tre, soprattutto quella fra il ticket Renzi-Martina (66,7% dal voto dei circoli) e Orlando (25,3%). La posizione del ministro della Giustizia, a differenza di un Emiliano un po’ dentro e un po’ fuori, è tutta all’interno della logica di un Pd a vocazione sociale e, se uscisse con un esito dignitoso (oltre il 20%), potrebbe rivelarsi utile e necessaria allo stesso Renzi: per fare squadra, per rendere esigibile l’affermata pluralità del Pd, per la copertura a sinistra e per fare chiarezza sulla riconoscibilità degli avversari con cui competere.

Archiviato Renzi 1.0, siamo solo al primo tempo di Renzi 2.0, titolare di una seconda chance e destinatario della fiducia del popolo dem, ma avvertito pure dei limiti di una gestione assertiva e poco attenta ad ascoltare le ragioni altrui. Da domani inizia una fase al buio, di cui conosciamo una sola certezza: quella indicata da Mattarella, e cioè che prima di tornare alle urne serve una legge che armonizzi i sistemi per Camera e Senato.

Il presidente della Repubblica ha riaffermato un percorso obbligato ma, convocando i vertici istituzionali, lo ha fatto con un atto di grande forza politica. La legge elettorale, il cui impianto di base va in Commissione nei prossimi giorni, è un rompicapo, tuttavia è il punto di partenza per ridisegnare un assetto a tre (con i grillini) e non più a due, trovando il punto d’equilibrio fra governabilità e rappresentanza.

Scrivere le nuove regole significa, però, prospettare un nuovo centrosinistra e un nuovo centrodestra: andare da soli, oppure scegliere le alleanze, il listone unico prima del voto o la coalizione dopo, in Parlamento. Renzi può cedere sui capilista bloccati, ma accettare il premio di coalizione vorrebbe dire ritrovarsi con Bersani e D’Alema. Nel frattempo ribadire la vocazione maggioritaria del Pd, l’andare per conto proprio, può significare la solitudine. Se i calcoli politici si faranno dopo la conta dei voti, grandi coalizioni o meno (Berlusconi o Pisapia?) saranno imposte dalla legge dei numeri. Soprattutto se lo schema è proporzionale, perché in quel caso non ci sarà un vincitore vero e proprio, ma solo uno che ha preso più consensi.

Ci sono poi altri fronti che si aprono, un percorso a ostacoli. Le amministrative parziali di giugno rischiano di essere dolorose per i dem. La manovra finanziaria di ottobre, sullo sfondo dell’interminabile negoziato con l’Europa, sarà pesante e non avrà margini spendibili in chiave preelettorale nel senso che, nella migliore delle ipotesi, stabilizzerà l’attuale quadro fiscale.

In ottobre c’è il referendum di Maroni e Zaia sull’autonomia in Lombardia e Veneto, spiazzante per il centrosinistra perché non pochi amministratori del Pd saranno a favore. In autunno il voto alle regionali in Sicilia potrebbe sancire il trionfo dei 5Stelle. In definitiva: la conclusione delle primarie, nel chiudere una stagione, ne apre un’altra dove di scontato c’e’ ben poco.

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