Pensioni dorate
Equità e privilegi

Se c’è una grande questione che riguarda il nostro Paese è la questione generazionale: vale a dire la disparità di diritti e di chance a seconda dell’anno in cui si è nati. Un giovane oggi non solo ha grande difficoltà di accesso al mondo del lavoro, ma quando riesce a metterci piede deve accettare condizioni che nella maggior parte dei casi non permettono di costruirsi una vita. E tanto meno di immaginare di avere un giorno una pensione. Questa premessa è necessaria nel momento in cui si torna a discutere delle cosiddette pensioni d’oro com’è successo in questi giorni a Bergamo per via della denuncia lanciata dalla Cisl: a fronte di una media di assegni mensili di 1.200 euro, ci sono in provincia 8 mila pensioni sopra i tremila euro. C’è quindi una forbice troppo larga, che il sindacato bolla come «immorale», tra quei fortunati e quel 39% che vivrebbero con assegni da 629 euro al mese.

Il discorso rischia di scivolare nel populismo, perché definire d’oro una pensione di 3 mila o 3.500 euro è francamente esagerato. Infatti nel comunicato ci si corregge spostando il mirino su quelle quasi mille pensioni che in provincia di Bergamo sono superiori ai 5 mila euro. Il problema è però di prospettiva, perché immaginare un legittimo «contributo di solidarietà» a chi incassa assegni che superano spesso di gran lunga i propri bisogni, deve avere anche un carattere di bilanciamento generazionale. È giusto rendere più eque le pensioni tra di loro, ma è ancor più giusto rendere più equo il rapporto tra chi oggi gode di quel diritto e chi un domani con ogni probabilità non potrà permetterselo.

In Italia i pensionati che potremmo davvero definire d’oro, quelli oltre i 90 mila euro l’anno sono circa 33 mila, ma pesano in maniera importate sul sistema: il valore totale dei loro assegni è di circa 3,3 miliardi di euro, vale a dire circa l’1,2% dell’intero monte pensioni che è di oltre 270 miliardi. Il governo Monti aveva proposto una sforbiciata che prevedeva un taglio del 5% sopra i 90 mila euro, e poi a salire del 10% sopra i 150 mila, sino al 15% per i super ricchi: il tutto avrebbe generato un risparmio di 25 milioni per tre anni. Insomma una cifra quasi simbolica rispetto a quella grande somma di 3,3 miliardi. Non se ne fece però nulla perché la Corte costituzionale giudicò illegittimo che quella misura venisse imposta solo ai pensionati e non a tutti i dipendenti con stipendi sopra le stesse cifre. L’Italia è il Paese dei giochi bloccati e così anche quel provvedimento che poteva avere un significato che andava aldilà della sua reale portata, non se ne fece nulla.

Qualche mese fa Mario Giordano, direttore del Tg4, ha pubblicato un bel libro dedicato alle pensioni d’oro e significativamente intitolato «Vampiri». La dedica di quel libro è una dedica a sorpresa. Infatti il libro è scritto per «Aurora B., 27 anni, parrucchiera a Pisa: secondo i calcoli dell’Inps, dovrà andare in pensione il 1° marzo 2064 (cioè a 74 anni), quando avrà lavorato 58 anni. Percepirà meno di 1.000 euro netti al mese». Giordano ha motivato così quella dedica: «Aurora B. e gli altri non assistono solo all’ingiustizia: la pagano di tasca propria. Infatti, con i loro soldi stanno finanziando i privilegi dei nababbi. Sembra assurdo, ma è così. E per questo i folli vitalizi non sono un diritto, ma un furto. Un furto di equità e di futuro, che si ripete ogni giorno e diventa sempre meno accettabile. Bisogna impedirlo. Tutto qui».

Pensare che le categorie privilegiate siano da imputarsi solo alla politica o agli apparati dello stato è sbagliato e parziale. Il fenomeno è trasversale e non risparmia quasi nessuna categoria, neppure quella dei giornalisti speso bravi a vendersi come moralizzatori, e neppure quella dei sindacalisti (secondo Giordano sono oltre 17 mila i sindacalisti che godono del privilegio di vitalizi alti).

Per tutti questi motivi è giusto aprire il capitolo delle pensioni d’oro. È giusto avere il coraggio di intaccare situazioni che oggettivamente possono essere giuridicamente legittime ma sono moralmente insostenibili. Ma è giusto farlo come piccolo atto di riparazione generazionale. Per non passare alla storia come la generazione dei «vampiri».

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