Ragazzi prodigio
e leader politici

Sebastian Kurz, vincitore delle elezioni politiche austriache, ha 31 anni. È diventato deputato a 24, sottosegretario a 26, e poco dopo ha assunto la guida della politica estera del suo Paese. Non sarà un caso che a Vienna lo chiamino «il ragazzo prodigio». Di sicuro molto precoce, anzi il più precoce tra i leader politici, ma non certo l’unico. Basta fare una veloce ricerca su Google e si scopre che Viktor Orban, il destrissimo premier ungherese, ha preso il potere a soli 35 anni. Charles Michel, belga, e Juri Ratas, estone, hanno conquistato il governo a 38 anni. Il più fascinoso premier del mondo è Justin Trudeau, il quale, benché sia un politico navigato, ha solo 43 anni come Andrzej Duda, polacco, entrambi un po’ più anziani di Alexis Tsipras, che ha quarant’anni.

E come dimenticare il giovanissimo Emmanuel Macron che è entrato all’Eliseo da presidente della Repubblica francese a soli 40 anni, ma era già ministro a 37? Se proprio vogliamo essere completi e aggiungere anche leader non eletti, il famigerato nord coreano Kim jon-un ha solo 34 anni e lo sceicco del Qatar 36. Insomma, il mondo va man mano scivolando nelle mani dei trenta-quarantenni. Con due eccezioni, naturalmente: Putin è un sessantacinquenne e Trump ha oltrepassato le 71 primavere, ma il suo predecessore Obama aveva 48 anni quando da semplice senatore di Chicago fu eletto uomo più potente del mondo e prese possesso della Casa Bianca.

E noi? Noi possiamo esibire naturalmente Matteo Renzi, anche lui entrato a Palazzo Chigi a meno di quarant’anni ma con alle spalle un’attività politica ininterrotta che risaliva ai tempi del liceo. Da presidente del Consiglio aveva più o meno l’età di Benito Mussolini – paragone che certo non gli fa piacere - mentre gli è sicuramente più gradito ricordare che la Democrazia Cristiana nei primi anni della Repubblica mandava al governo meno che trentenni che si chiamavano Giulio Andreotti, Aldo Moro, Emilio Colombo.

Eppure l’impressione che la classe politica italiana dà all’esterno è quella di una immarcescibile gerontocrazia, del tutto incapace di lasciare il potere, o anche semplicemente la visibilità del palcoscenico. A guardare bene, nel centrodestra le carte le dà ancora Silvio Berlusconi che di anni ne ha ottantuno, peraltro portati gagliardamente, e non ha alcuna intenzione di lasciare troppo spazio ai suoi contendenti più giovani come Matteo Salvini e Giorgia Meloni come in passato ha sempre messo uno stop alla crescita di giovanotti (allora) che si chiamavano Gianfranco Fini o Pierferdinando Casini.

E nel Movimento Cinque Stelle il leader designato da primarie molto discusse è Luigi di Maio, meno che trentenne, ma il potere vero lo tiene ancora saldamente in mano Beppe Grillo, che è quasi un coetaneo di Berlusconi ed era già famoso (come comico) quando al governo c’erano Forlani e Bettino Craxi.

E non è forse vero che al Senato si sta aspettando con trepidazione l’intervento sulla legge elettorale di Giorgio Napolitano che ha tenuto il bastone del Quirinale fin oltre i novant’anni? Oltretutto il suo successore non è certo un ragazzino.

E ancora: quando un pezzo di Pd se ne è andato via per radicale dissenso da Renzi, si è fatto guidare nel cammino da due vispi ultrasettantenni come Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani alla cui successione spera, sospirando, Roberto Speranza, un altro quarantenne che rischia di fare la fine del principe Carlo.

Da ultimo: quando quasi tutto il senato dei costituzionalisti italiani espresse l’anatema contro la riforma targata Renzi, i vegliardi dell’Accademia non scuotevano solennemente le candide chiome contro ogni parola di quella «ragazzina» di Maria Elena Boschi? Alla fine lo stesso Renzi si dice abbia abbandonato la sua vecchia idea della «rottamazione» acconciandosi ad appoggiarsi ai vecchi del partito che non lo hanno abbandonato come Piero Fassino e Walter Veltroni, entrambi in età di pensione, e avrebbe anche ambito alla benedizione di Romano Prodi che fu ministro dell’Industria quando, per dire, l’Ilva era ancora delle Partecipazioni Statali. Preistoria. Non sarà anche per questo che quando occupano i licei, i nostri ragazzi mettono su degli striscioni con su scritto: «Questo non è un Paese per giovani»?

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