Ratzinger, 90 anni
al servizio della Chiesa

Il Papa della rinuncia compie 90 anni il giorno di Pasqua e mercoledì Papa Francesco è andato a trovarlo per fargli gli auguri di Pasqua e di compleanno. Quando nacque il 16 aprile 1927 a Marktl am Inn in Baviera era Sabato santo e venne battezzato il giorno dopo con l’acqua benedetta nella notte di Pasqua. Joseph Ratzinger dirà, molti anni dopo: «Fu un segno premonitore, una benedizione». Non ci saranno grandi festeggiamenti. Non è nel suo stile da sempre sobrio e austero. L’ufficio filatelico vaticano ha emesso ieri un francobollo per celebrare la ricorrenza.

Ci sono due Papi che si abbracciano, il Papa «regnante» Francesco e il Papa «emerito» Benedetto XVI. Pochi giorni fa è uscito un libro in suo onore con i contributi dei tredici vincitori del «Premio Ratzinger», istituito dalla Fondazione che porta il suo nome. Tra essi c’è anche quello di Anne-Marie Pelletier, la biblista francese che ha scritto quest’anno le meditazioni per la Via Crucis di Bergoglio al Colosseo. È stato sicuramente il regalo più gradito dal Papa-teologo. Una piccola festa si farà lunedì al monastero «Mater Ecclesiae» in cima al Giardini Vaticani dove Benedetto vive da quattro anni «serenamente», come va ripetendo in questi giorni il suo segretario mons. George Gaenswein. Negli ultimi mesi sono stati pubblicati molti libri su Joseph Ratzinger. Indagano sull’intellettuale, il professore, il cardinale, il Papa. Indagano sulla cifra di un teologo che ha segnato la storia del Novecento e su un Pontefice che con la rinuncia ha suscitato emozioni e critiche. Ma di una cosa si può essere sicuri e cioè che i gesti e le parole di Joseph Ratzinger e soprattutto il suo Pontificato che ha chiuso nel modo che sappiamo, potrà essere compreso, e compreso bene, solo con il tempo.

Ratzinger resta un protagonista assoluto e ascoltato, ma non è mai diventato un personaggio, nel senso che non ha mai alimentato la percezione che la storia della Chiesa sia fondata sull’eccezionalità di una persona, fosse anche il successore di Pietro. Certamente la rinuncia è stato un grande atto di riforma, un’innovazione di cui ancora non si avverte tutta la portata. Eppure per Benedetto XVI è stato un atto normale, ben meditato e ben preparato. Se si rileggono i suoi scritti se ne trovano tracce fin dal 1978, nel testo dell’omelia della Messa di suffragio per Paolo VI a Monaco, e ne risulta un’idea che ha avuto una lunga e per alcuni versi tormentata gestazione, legata all’elaborazione di un concetto di governo della Chiesa che richiede sempre di più vigilanza. Molti Papi hanno pensato alla rinuncia, ma Benedetto è il primo che ha dato seguito all’ipotesi e ha illustrato il valore innovativo della rinuncia. Nelle ultime settimane si è tornati a parlare di pressioni, evocando scenari da fantapolitica, pressioni americane e della grande finanza, fuga davanti ad una situazione drammatica innescata dallo scandalo di Vatileaks. In ambienti cattolici conservatori addirittura si è messo in dubbio la libertà della decisione di Benedetto e quindi la validità dell’elezione del suo successore, quasi che fosse incapace di intendere e di volere mentre leggeva in latino la sua rinuncia davanti ai cardinali. Ebbene quelle voci sono tornate a diffondersi ora che Ratzinger compie 90 anni. A nulla è valsa la sua smentita affidata al libro «Ultime conversazioni» del giornalista tedesco Peter Seewald, né è servita la precisazione dello stesso Benedetto, riferita su sua autorizzazione da alcuni amici andati a trovarlo, che si trattava di stupidaggini. Né sembrano servire le parole ripetute in questi giorni dal suo segretario sul fatto che non si è mai pentito, convinto di aver fatto «la cosa giusta». Chi meglio di tutti ha spiegato la rinuncia è stato Papa Francesco ai giornalisti sul volo di ritorno dalla Corea l’anno scorso: «Benedetto ha aperto una porta che è istituzionale, non eccezionale». Ora tocca ai teologi e ai canonisti declinare il nuovo «servizio» alla Chiesa di un Papa quando depone le chiavi di Pietro.

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