Religione e laicità
da Nicea a Rozzano

La vicenda della scuola di Rozzano rivela un’ideologia confusa della laicità, largamente diffusa nelle scuole statali. La laicità consiste nel tenere separati fede religiosa e Stato. Benché oggi appaia normale, questa separazione è stata raggiunta dopo secoli di commistione e di sangue. Un esempio? Il primo Concilio ecumenico di Nicea – oggi Iznik in Turchia – fondativo della cristologia, perché stabilì la consustanzialità del Padre e del Figlio e l’Incarnazione, contro l’eresia ariana e gnostica, non fu convocato dai vescovi, bensì dall’imperatore Costantino nel 325, perché le divisioni dei cristiani rendevano poco governabile l’impero.

Il cesaro-papismo e il papa-cesarismo si sono intrecciati, fino al Concilio Vaticano II, che ha chiuso definitivamente la lunga era costantiniana della Chiesa cattolica. Se il processo è durato sedici secoli, la ragione risiede nel fatto che le religioni hanno impastato la storia umana, ne hanno segnato le civilizzazioni, le letterature, le filosofie, le costruzioni, le arti, i costumi, le città e gli Stati.

La fede cristiana sta alle radici dell’Europa. Il fatto è che l’homo sapiens è religiosus, perché fa esperienza di un’incompletezza, di un trascendimento dell’orizzonte presente, di una domanda sul proprio destino. Il «fenomeno umano» è un «fenomeno religioso». La laïcité giacobina della rivoluzione francese sostituì al Dio cristiano la République e la Volonté generale. Laicità come religione. La laicità liberale significa solo «libera Chiesa in libero Stato», dove lo Stato è di tutti e le religioni sono dei singoli e delle comunità. Ciò che conta per tutti è il codice civile e penale. Poi, Stato e Chiesa possono siglare dei Concordati, il cui contenuto varia nel tempo. Quello firmato da Mussolini l’11 febbraio 1929 stabiliva che la religione cattolica fosse la religione dello Stato. La revisione, firmata da Craxi il 18 febbraio 1984, abolì questo «dogma», adeguandosi alla Costituzione repubblicana. La maturazione laica, da cui l’esito del referendum del 1974 sul divorzio, la crescente differenziazione del panorama religioso in confessioni, la secolarizzazione del Paese hanno creato le condizioni per il nuovo Concordato. Tuttavia, la benefica separazione ha scavato un vuoto sotto la laicità. Lo Stato può e deve essere un disciplinatore neutrale di passioni e interessi, ma non risponde alla domanda religiosa ed è meglio che non lo faccia.

Secondo il Rapporto Censis del 2012, il 63,8% degli italiani è cattolico (praticanti il 24,4%, non praticanti il 52,1%); i protestanti sono 700 mila, di cui 550 mila pentecostali; gli ortodossi 1.300.000; gli islamici 1.200.000; i testimoni di Geova 300.000; i buddisti 180.000, gli induisti 115.000, gli ebrei 30.000. Come «trattare» questo pluralismo nelle scuole, frequentate da molte religioni? Intanto, occorre assicurare a ciascuna fede religiosa la possibilità di manifestarsi nel contesto educativo. Se i cristiani, praticanti o no, o gli «atei devoti» desiderano celebrare la nascita di Cristo nelle forme storicamente date – presepe, concerti, Messe – questo significa che violano la laicità della scuola? O non è piuttosto una laïcité giacobina che vìola un diritto? Tuttavia, ciò che è decisivo è la capacità della scuola di insegnare la storia delle religioni e di educare alla storia. Una ricerca di un paio di anni fa, condotta dal Centro di Ateneo per la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento dell’Università degli Studi di Bergamo, ha evidenziato una conoscenza della religione cattolica degli studenti, oscillante tra il 20% e il 40%, ma quella della Bibbia appare decisamente scarsa.

La ricerca suggerisce che le conoscenze non paiono frutto dell’insegnamento di religione, ma della frequentazione da parte degli studenti di percorsi non scolastici in associazioni, in movimenti informali o non formali. Le scuole dovrebbero preoccuparsi dell’analfabetismo religioso: è questo che genera l’intolleranza, non un presepe.

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