Referendum, nel M5S
tensione alle stelle

La coda avvelenata della campagna referendaria è destinata ad essere lunga. Lo dimostrano lo scandalo delle firme false, che coinvolge i grillini, e quello degli appelli al voto del governatore della Campania De Luca. Ma andiamo con ordine. I grillini erano già alle prese con le false firme per la presentazione di candidature alle elezioni amministrative di Palermo quando è scoppiata una bomba simile a Bologna: se in Sicilia si contano una decina di indagati, in Emilia sono quattro. A Palermo i dirigenti grillini autosospesi sono i soliti due consiglieri regionali (La Rocca e Ciaccio) mentre la coppia di deputati coinvolti (Nuti e Mannino) non fiatano e non si muovono.

Idem nell’ex capitale rossa. Al punto che Grillo, che ha più volte sollecitato invano il passo indietro volontario da parte di chi è rimasto impigliato nel pasticciaccio, minaccia di riunire il comitato dei probiviri che avrebbe il potere di sospendere militanti e dirigenti sospettati di aver violato le regole interne oltre a quelle prescritte dalla legge. In particolare la resistenza passiva dei palermitani deve aver molto irritato Grillo che si è visto non obbedito: del resto si sta parlando di pezzi grossi del movimento, almeno in Sicilia, di deputati e consiglieri regionali che dovrebbero presto guidare la conquista pentastellata dell’isola e che stanno per essere disarcionati proprio mentre si sentivano ad un passo dal governo regionale. Nuti in particolare è un esponente di peso, un vero e proprio capo corrente, eliminare il quale sarebbe assai rischioso per le sorti del movimento. C’è da pensare che fino a quando non arriverà un vero e proprio atto giudiziario che li metta in mora, i due deputati faranno di tutto per evitare l’uscita di scena.

La stessa musica viene suonata a Bologna: in questo caso le firme false riguardano le ultime elezioni regionali e la Procura ha fatto sapere che si tratta di una inchiesta che va avanti da due anni e che dunque non ha alcuna coincidenza temporale né con i fatti di Palermo né con la campagna referendaria.

Naturalmente i grillini sospettano che ci sia un complotto ai loro danni e ributtano i sospetti addosso agli altri: Di Maio dice di temere brogli al referendum, punta il dito sul voto degli italiani che vivono all’estero e addirittura invoca l’intervento di osservatori internazionali (l’Onu?) per comprovare la correttezza delle urne italiane.

L’infelice frase di Grillo su «Renzi simile ad una scrofa ferita» dà conto dello stato di tensione che si registra tra i capi nazionali del movimento Cinquestelle, consapevoli dell’enorme danno di immagine che queste faccende arrecano alla loro scalata, già appesantita dalle contraddittorie esperienze amministrative nelle città da loro guidate, in particolare Roma.

A far da contrappeso agli scandali stellati, c’è il solito Vincenzo De Luca, il linguacciuto governatore piddino della Campania. Appena uscito dal clamore suscitato dalle ingiurie minacciose da lui rivolte a Rosy Bindi («un’infame da uccidere»), De Luca si è ritrovato sul Fatto quotidiano, il giornale di Travaglio, la trascrizione di un suo imbarazzante discorso a favore del Sì durante un’assemblea con i sindaci della sua regione: un appello dai toni chiaramente clientelari in cui si esorta a far votare a favore di un governo «che sta mandando un fiume di soldi» in Campania. A tempo di record proprio la Bindi, prendendosi una vendetta ancora calda, ha chiesto alla Procura di Napoli la trasmissione degli atti dell’indagine aperta per vedere se sia necessario aprire una procedura in Antimafia a carico di De Luca. Il quale ha ironizzato sul «reato di battuta» e ha preannunciato querele, senza però potersi nascondere che i suoi toni stanno diventando controproducenti sia per il Pd, che per il premier che lui tanto animosamente sostiene.

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