Renzi, le urne
e l’autunno caldo

E adesso davvero scatta la corsa. Al referendum italiano del prossimo autunno stanno cominciando ad interessarsi, con qualche preoccupazione, sia i partner internazionali sia i mercati: entrambi temono che la consultazione possa rivelarsi l’avvio di una nuova fase di instabilità del Paese col debito pubblico tra i più grandi del mondo. Ora che la Corte di Cassazione ha dichiarato ammissibile il quesito referendario e che manca solo di stabilire la data del voto, ci avviamo in un tratto del percorso politico che sarà osservato con occhiuto interesse più fuori dei patri confini che dentro. In palio c’è una mastodontica revisione della carta Costituzionale (47 articoli) che promette di traghettarci nella vera seconda Repubblica: le conseguenze politiche della vittoria del «sì» o del «no» a questa riforma targata Renzi sono però tutte da valutare.

Per il presidente del Consiglio il «via» decretato dalla suprema Corte non arriva sotto i migliori auspici: Renzi è indebolito dal brutto risultato delle elezioni amministrative, ha poche carte da giocare sul piano della ripresa economica che c’è e non c’è, e quel poco che c’è rischia di indebolirsi, e soprattutto non riesce per il momento a far percepire l’approvazione della riforma come la nascita di un’Italia nuova, più giovane, dinamica, capace di risolvere i problemi e di liberarsi dei suoi storici limiti e pesi. Non c’è il «clima» insomma per far passare questo messaggio: neanche pigiando il tasto della rottamazione («meno posti per la politica, meno costi») che tanta fortuna ha portato al giovane sindaco di Firenze si riesce a vedere un po’ di entusiasmo. Insomma, a Palazzo Chigi guardano con preoccupazione al traguardo, e probabilmente ora Renzi si morderebbe la lingua pur di non lasciarsi sfuggire quell’infelice frase pronunciata con la baldanza di chi si senti(va) comunque vincitore: «Se perdo me ne vado». No, quello slogan va dimenticato e i collaboratori del governo stanno facendo di tutto per cancellarla: troppo rischioso.

Ma per fare in modo che il referendum si depuri il più possibile dagli errori e dalle amarezze delle amministrative, serve tempo. Serve una nuova campagna comunicativa che in qualche modo faccia riscoprire agli italiani l’immagine del premier «uno come noi» che «si batte per un Paese migliore». Facile pensare dunque che il governo, cui spetta la decisione, farà in modo che il referendum si tenga in autunno inoltrato, più avanti possibile, di sicuro dopo l’approvazione della legge di Stabilità (che qualche beneficio potrebbe portarlo su pensioni e fisco).

Ecco perché invece le opposizioni reclamano il voto subito, prima possibile: «Basta trucchetti!» intima Renato Brunetta, «corriamo alle urne», nella convinzione che prima si vota più facile sarà battere Renzi cancellando la sua riforma. L’alleanza destra-grillini-sinistra Pd freme per approfittare del calo di consensi del premier, dell’appannarsi dell’azione di governo, dello stato di incertezza che pesa sull’Italia, angosciata non solo dai suoi problemi (poco lavoro, tante tasse, corruzione, ecc.) ma adesso anche dall’emergenza immigrazione sempre più legata alla paura suscitata dall’offensiva terroristica.

Colpire adesso per colpire doppio, ragionano i nemici di Renzi. Tra i quali vanno annoverati sicuramente i suoi compagni di partito della minoranza di sinistra pronti a votare no se non otterranno concessioni sulla modifica della legge elettorale. Paradossalmente è assai più sfumato l’impegno di Forza Italia: a parte Brunetta, non pare ad esempio che il leader designato Stefano Parisi abbia una gran voglia di vedere precipitare le cose in una crisi al buio: anche lui ha bisogno di tempo.

Più passeranno le settimane più il referendum costituzionale somiglierà al voto inglese sulla Brexit: come Cameron, difficilmente Renzi potrebbe ignorare un rovescio. A suo vantaggio però c’è da dire che oggi nessuno è in grado di prevedere cosa succederebbe se il governo venisse travolto da una valanga di no.

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