Salvini, la panna montata
e la città di Milano

Soltanto un paio di anni fa, la Lega avrebbe cavalcato il successo degli indipendentisti catalani, trasformandolo in un tormentone. Niente di tutto questo, a conferma che Salvini sta cambiando il sangue al partito: discontinuità rispetto a Bossi, con l’armamentario federalista in secondo piano, e competizione nel centrodestra su posizioni «nazionali». Prendiamo anche i temi internazionali che si collegano all’emigrazione, business politico del consenso leghista.

Se Bossi era neutralista e un po’ pacifista, più vicino a Gino Strada che alle cancellerie occidentali, ecco Salvini con l’elmetto: «La retorica pacifista non serve più: andiamo con l’esercito in Siria, sterminiamo l’Isis». Mutazione genetica o correzione in corso d’opera? Osserviamo l’altro cavallo di battaglia, la ruspa contro l’euro con minaccia di referendum. Anche qui silenzio e Salvini, uno che pure sa montare la panna, si deve essere accorto di due cose: che la parabola della Grecia di Tsipras consiglia di restare allineati e che la posizione del governo italiano, critica verso Bruxelles ma dentro le regole, può controllare i malumori di una certa opinione pubblica.

E neppure, il leader leghista, può spingersi verso un antieuropeismo radicale: il fatto che abbia creato alleanze in Europa con Marine Le Pen, indica la consapevolezza di non poter fare a meno dell’Ue. Guardiamo la riforma del Senato che diventerà l’espressione delle autonomie territoriali: una prelibatezza per la Lega storica. E invece Calderoli è rimasto solo: un po’ di effetti speciali con l’algoritmo che ha prodotto milioni di emendamenti poi smontati dal presidente Grasso, e la storia sembra finita lì. Eppure questo è l’habitat naturale lumbard, visto che sono in discussione i temi che hanno lanciato la Lega e che per certi aspetti ne contestano oggi l’impianto: una ragione in più per essere una componente del dibattito.

Del resto, con il nuovo Senato, si rivedono in profondità i rapporti fra Regioni e Stato: un po’ di pulizia fra livelli istituzionali che si sovrappongono e per ridurre l’eccesso di autonomia spesa male appare necessaria. Ma stupisce che nel mirino della Lega non ci sia il senso di direzione della riforma: neocentralismo soft. Si dirà che questa frontiera è presidiata da Maroni, che peraltro ha qualche contrasto con il leader, ma gli spazi di manovra del governatore lombardo non paiono una copertura sufficiente. Alle prese con un’ espansione frenata stando ai sondaggi, a Salvini non rimane che la retorica anti immigrati e infatti non ha intenzione di ripulire il proprio linguaggio, ma è una rendita di posizione ciclica.

Più le cose vengono governate e più la temperatura scende, e nel mentre l’emergenza umanitaria di chi fugge dalle guerre sta cambiando la sensibilità dei cittadini in chiave più responsabile. Con la Lega ad una sola dimensione l’altro Matteo cerca di battere il Matteo di governo e di negoziare da posizioni di forza l’incerta ricostruzione del centrodestra, ripartendo da Milano dove si vota l’anno prossimo. La conquista della città simbolo dei moderati formato Seconda Repubblica è il trampolino di lancio per la nuova Lega, il bastione sul quale investe energie ma dove potrebbe consumarsi il confronto fra le due Leghe (il modello lombardo di Maroni, vicino alle posizioni di Forza Italia e del centrodestra classico, e il nuovo corso di rottura che Salvini illustra a reti unificate) che si sovrappone alla guerriglia con Berlusconi. È già un serio problema quel che negli obiettivi vuole essere parte della soluzione.

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