Se la jihad colpisce
la pace dello sport

Dunque dietro l’attentato di Dortmund, che ha provocato il ferimento del difensore spagnolo del Borussia Marc Bartra, ci sarebbe la pista del terrorismo islamico. Non è certo una sorpresa per chi ha buona memoria di questo genere di avvenimenti. Non è infatti la prima volta che il terrorismo dell’Isis o di matrice islamica prende di mira lo sport. Anche la tecnica dell’attentato - i tre ordigni che esplodono in sequenza nel raggio di 100 metri - ricorda operazioni precedenti. Nel corso delle indagini sono state ritrovate tre copie di un messaggio di rivendicazione, secondo cui l’azione sarebbe stata compiuta da un gruppo islamista in risposta alla partecipazione tedesca alle operazioni militari contro l’Isis in Iraq e in Siria. Ma questo fa parte della messinscena del terrore, sempre uguale. Più interessante riflettere sull’obiettivo.

L’obiettivo, appunto, perché lo sport? La risposta è semplice: perché lo sport è uno dei simboli della società occidentale, tanto odiata dal delirio dei radicalismi e dal fanatismo degli estremisti islamici e considerata strumentalmente la causa di tutti i mali, il nemico da abbattere. E naturalmente al primo posto nelle classifica degli obiettivi sportivi c’è il calcio, il più popolare sport del mondo.

Gli esperti di terrorismo sostengono che nella notte maledetta del 13 novembre 2015, la notte della strage del Bataclan, quando diversi commandi del terrorismo affiliati all’Isis entrarono in azione in diversi luoghi di Parigi mietendo più di un centinaio di persone, soprattutto giovani, quella più efficace fu quella che fece meno vittime. Ci riferiamo all’attentato allo Stade de France, il grande stadio da 81mila posti che si trova nella periferia nord di Parigi, nel quartiere di Saint-Denis. Morirono due persone, un giovane e inesperto attentatore e un passante. Ma durante la partita Francia- Germania, davanti a 80 mila tifosi e alle massime autorità, tra cui François Hollande, doveva entrare in scena la rappresentazione dell’orrore. Per fortuna le forze di sicurezza furono molto attente a non scatenare il panico e la partita continuò, anche per volontà dei due allenatori. Ma la tensione sul volto di Hollande che veniva portato via quasi a a forza dalla tribuna dalle guardie del corpo, andata in onda in mondovisione e ripetutasi nei giorni seguenti infinite volte ad appannaggio di quasi tutti gli abitanti del pianeta, ottennero l’effetto desiderato dai terroristi. Erano riusciti a impensierire il leader di una delle grandi potenze dell’Occidente

Il terrore è come un’onda d’urto che si allarga e si ripete attraverso i media. Ai terroristi è bastato accendere la miccia dei media, nell’epoca dell’immagine e della comunicazione. Del resto questa tecnica risale alle Olimpiadi di Monaco del 1972, quando un commando di guerriglieri palestinesi entrò nella palazzina degli atleti israeliani, li sequestrò, li seviziò e li uccise in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine tedesche mentre tentavano di decollare dall’aeroporto a bordo di elicotteri. Quelle immagini non solo fecero il giro del mondo ma entrarono nella storia, colpendo l’immaginario dell’opinione pubblica occidentale e mediorientale. Avevano infranto il mito dello sport. Avevano gettato la loro scia di sangue sopra un rito che era considerato fin dall’VIII secolo avanti Cristo, al tempo delle prime Olimpiadi antiche, come il simbolo di pace per eccellenza, in un tempo in cui si era costantemente in guerra ma in cui i popoli di tutta la Grecia siglavano una tregua sacra proprio per lo svolgimento dei Giochi.

Dunque il terrore aveva già sfidato la pace dello sport già da molto tempo. Ora non fa che ripeterlo. Ma la cosa potrebbe decretare anche la sua sconfitta: toccare gli interessi sportivi in Occidente significa anche suscitare lo sdegno popolare universale. Hanno toccato il calcio con i suoi tifosi e i suoi interessi galattici: potrebbe essere l’inizio della fine di chi ha osato sfidare uno dei riti e dei simboli più potenti della società occidentale.

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