Senza fiducia
Riscatto impossibile

Negli anni ’90 il buon Bill Clinton aveva trovato il kit di sopravvivenza collettiva con il suo motto diventato luogo comune: è l’ economia, bellezza. A qualsiasi problema avrebbe rimediato il turbocapitalismo.
Oggi con la crisi che rimane appiccicata ai cuori e ai portafogli dell’ opinione pubblica, dobbiamo concludere in modo diverso: sono le emozioni, bellezza.
Sono i sentimenti, perlopiù negativi, a svolgere un ruolo decisivo nelle relazioni umane e nel governo delle società.

Si possono leggere così i risultati, apparentemente contraddittori, di due sondaggi Ipsos di Nando Pagnoncelli: il primo sull’ attrattività dell’ Italia, il secondo relativo alla Giornata del risparmio che s’ è svolta ieri. Resiste nell’ immaginario collettivo degli italiani l’ immagine piuttosto negativa del Paese, che proietta una curvatura introversa sul futuro, perché la crisi - come spiegano i sondaggisti - è stata «interiorizzata»: rimane, con la sua forza invasiva, dentro il vissuto quotidiano delle persone, installata nell’ ambito più intimo.

Quest’ ospite indesiderato è capace di produrre qualche paradossale equilibrismo: induce al pessimismo e nel frattempo alimenta la propensione al risparmio. Quel che è un valore positivo (uno stile più sobrio e selettivo dei consumi), un virtuosismo in grado di attenuare l’ ansia per restituire cittadinanza alla tranquillità, è però condizionato e riflette le incognite di un domani sul quale ci affacciamo con sospettosa circospezione.

Un gioco in difesa, in obbligata retroguardia, visto che la crescita del Pil (parola magica che da anni accompagna i tormenti di tutti) è molto legata alla domanda interna. Domanda che, benché in leggera crescita, continua ad essere in frenata per almeno tre motivi: il deficit demografico, l’ inclinazione verso il risparmio e il clima complessivo non entusiasmante. Abbiamo buoni motivi di insoddisfazione verso l’ ambiente esterno che ci circonda, tuttavia i sondaggi aggiungono due elementi sui quali riflettere. Il 50% degli italiani pensa che ci vogliano ancora dai 5 ai 10 anni per uscire dalla recessione: è il dato più alto da inizio crisi. E se pensano questo, a torto o a ragione, orientano i loro comportamenti sulla base di questa convinzione che determina un agire guardingo: il realismo delle concretezza mischiato all’ indisponibilità verso il rischio. Un passo indietro oggi per evitare di farne due domani. Il secondo dato, in qualche modo scontato, ribalta lo storico europeismo degli italiani (quando l’ Europa era a costo zero): la fiducia verso le istituzioni di Bruxelles è per la prima volta minoritaria, specie nel Nordest, il pancione rancoroso la cui economia ha pur sempre una vocazione global.

In questa coscienza pubblica tendente alla depressione e all’ affermazione dei Signor No c’ è però un po’ di tutto e stabilire una gerarchia dei sentimenti, l’ intreccio fra interessi reali ed emozioni cicliche è un terno al lotto: la fase discendente dell’ economia che incontra lo scarto fra aspettative di miglioramento e congiuntura non ancora soddisfacente, la distanza fra percezione e realtà che diventa spettacolare, la non conoscenza adeguata dei fenomeni sociali più acuti che si tramuta in innocenza. Da qui anche il prevalere delle emozioni sulla razionalità, uno stato visibile di apprensione mal gestita e cavalcata dagli imprenditori politici della paura. Un tono complessivo prostrato che si fa aggressivo nello «scontro delle emozioni» e che spiega, almeno in parte, il fenomeno che per convenzione definiamo populismo.

Questa assenza di fiducia si riverbera pure nella politica e lo vediamo bene nella campagna elettorale per il referendum costituzionale che ha perso il senso dell’ equilibrio e delle proporzioni, perché anche qui paiono contrapporsi due paure apocalittiche: se vince il Sì ecco la stretta autoritaria, se vince il No siamo sul baratro dell’ instabilità. Eppure non mancano i segnali, pur silenziosi nelle pieghe di un impegno discreto e che appare invisibile ai più, per ritrovare le ragioni della speranza e la normalità del linguaggio: la forza mite del buon senso. Ce lo dice la storia dell’ Italia repubblicana: dopo aver ballato allegramente sul Titanic, al dunque abbiamo saputo ritrovare l’ energia del riscatto. All’ ultimo miglio, d’ accordo: ma perché non riprovarci?

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