Senza idee per il futuro
vince il populismo

Diga al populismo cercasi disperatamente. Questa parrebbe la parola d’ordine dei partiti di governo europei. Basta guardare al comportamento da loro adottato in occasione delle elezioni in Olanda per averne conferma. Prima una corsa generalizzata a sostegno del capo di governo uscente, poi, di fronte alla vittoria riportata da Mark Rutte, un’esplosione di gioia. Solo uno stato acuto di ansietà misto a disorientamento può giustificare tale entusiasmo.

È difficile, infatti, chiamare quella del leader del Partito Popolare per la Libertà e la Democazia una vittoria piena. Più realistico definirla una mezza vittoria. Ha scongiurato il sorpasso tentato da Geert Winders, ma in ritirata. Rutte ha perso per strada dieci seggi mentre il rivale ne ha guadagnati quattro.

Insomma, la diga ha retto ma il fiume del populismo resta in piena. Lo sbarramento riuscito in Olanda può essere di buon auspicio per le imminenti elezioni francesi e tedesche. Tutto ciò non può, però, giustificare affrettati festeggiamenti per il pericolo scampato.

La minaccia populista è, per il momento, sotto controllo sul terreno elettorale. Acquista viceversa sempre più vigore su quello politico. Primo dato: collassano i partiti tradizionali, naturali antagonisti delle forze populiste. Ad eccezione della Germania, dappertutto socialisti e cristiano-sociali, assi portanti dal dopoguerra dei vari sistemi politici, sono in arretramento, quando non ridotti al lumicino. Secondo rilievo allarmante: l’agenda politica di tutta Europa è fissata dai populisti. Lotta all’immigrazione e al fondamentalismo islamico, allarme sicurezza, difesa dell’identità nazionale, invocazione di muri contro clandestini e profughi, sostegno alle svolte protezionistiche: gira e rigira, i politici fanno a gara con i media nel riecheggiare tutti questi temi.

È amaro dirlo ma bisogna riconoscere che la situazione più compromessa si registra proprio da noi. L’attacco populista si sviluppa nel nostro Paese - unica democrazia in Europa - da entrambe le sponde. Destra e sinistra, Lega e Fratelli d’Italia da un fronte, Cinque Stelle dall’altro, sottopongono ad un costante tiro incrociato le postazioni governative, mentre queste stanno timidamente sulla difensiva.

La precipitosa ritirata compiuta da Gentiloni sui voucher è solo il sintomo della condizione di fragilità e di precarietà in cui si trova il governo. D’altra parte a chi può appellarsi per opporre una resistenza più energica? Non c’è più traccia dei partiti storici che hanno dominato il campo nella Prima Repubblica. Non deve trarre in inganno la persistente forza elettorale del Pd che si vanta erede dell’ex Partito comunista. Il suo orizzonte politico, la sua capacità di tenuta, la sua stessa consistenza organizzativa non paiono tali da metterlo nelle condizioni di lanciare una temibile sfida al fronte populista, qualunque sia il futuro segretario: Renzi, Orlando o Emiliano.

Ancora più delle carenti forze in campo, quello che manca davvero ai partiti anti-populisti è un’idea di futuro da proporre agli italiani per riguadagnarne la fiducia. Fino a quando si limiteranno a fare il verso ai loro avversari è naturale che gli elettori continueranno a preferire l’originale. La battuta d’arresto di Winders in Olanda può concedere loro un respiro di sollievo. Non sposta di una virgola i termini della questione.

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