Stress ballottaggi
Quanta confusione

Beato chi ci capisce qualcosa: l’intermezzo del voto amministrativo fra il primo e il secondo turno di domenica prossima dovrebbe servire a riunire famiglie litigiose, ma si galleggia nella confusione. Eppure anche questo appuntamento dimostra che si vince con le alleanze, possibilmente larghe. Il Pd subisce una duplice difficoltà: non riuscire a sfondare al centro e a dialogare con quel che sta alla sua sinistra. Il centrodestra, pur non avendo superato la crisi del berlusconismo, ha i voti, e ancora tanti, ma non è in grado di esprimere un’alleanza coerente e una leadership riconosciuta. I grillini non reggono il passaggio dal virtuale al reale: l’investimento politico sulle paure (la sterzata a destra con l’opposizione allo ius soli) copre il vuoto amministrativo, la distanza che s’è creata fra il consorzio elettorale acchiappatutto dei 5 Stelle e un elettorato ballerino.

Si diceva, in questi mesi, della impermeabilità del consenso a Grillo che resiste agli errori del gruppo dirigente e ad una strategia di comunicazione ondivaga: ecco, invece, che qualcosa s’è rotto nella macchina vincente, non più così irresistibile.

La manifestazione della Cgil contro i voucher, nel radunare la sinistra critica anti Renzi, ha aggregato sigle con tanti generali e poche truppe. In questa area l’arrivo in campo del neoulivista Pisapia, con il suo progetto di sinistra-centro concorrenziale al Pd, non è necessariamente destinato a far chiarezza: se non come federatore, almeno quanto a sintesi convincente dei tanti spezzoni.

In realtà il movimentismo dell’ex sindaco di Milano sembra incentivare una sorta di competizione a sinistra non sempre amichevole: la sindrome dello spezzatino, con una rincorsa a chi è più di sinistra, accentuando la frammentazione e ridestando non sopite rivalità.

Neppure nel centrodestra la situazione è pacificata, tuttavia è più leggibile perché a schema fisso: il conflitto Salvini-Berlusconi. Con il ritorno all’antico la chimica però funziona e, per un capo leghista afflitto da ansia da leadership e in sintonia concorrenziale con Grillo sulla stretta anti immigrati, c’è un declinante Berlusconi che, nonostante tutto, appare come un elemento di stabilità. Insomma: il leader di Forza Italia, benché logorato, conserva una sua credibilità. Se non esiste più il centrodestra della serie storica degli anni scorsi, esistono però gli elettori, compresi parte di quelli rientrati dalla libera uscita.

Questo quadro in movimento mette in tensione la strategia di Renzi, fin qui impostata esclusivamente contro Grillo, perché – aspettando il prossimo ballottaggio – il centrodestra può tornare ad essere competitivo. Un po’ tutti sono prigionieri di un tatticismo esasperato: ora non parlano fra loro, ora si annusano, spesso non si pigliano.

Si capisce il disorientamento del popolo Pd: l’alleato di governo Alfano scaricato, poi la strada delle larghe intese con Berlusconi, infine il contrordine con cambio di fase e avvicinamento alla carovana di Pisapia nella prospettiva di una coalizione con ripescaggio centrista (Calenda) fino al sodalizio civico dell’avvocato milanese.

Le distanze fra Renzi e Pisapia sono evidenti e la prospettiva di un’alleanza aperta, probabilmente obbligata, non si tiene con un partito costruito intorno al leader. Il lavoro di ricucitura di Prodi, nelle vesti del grande saggio equilibrista, deve tener conto che qualche avversario del Professore (D’Alema e non solo) insieme con spezzoni guastatori del vecchio centrosinistra di governo sono pure nel Campo progressista di Pisapia. Oltre ai rapporti personali e alle linee di comunicazione interrotte fra dirigenti renziani e scissionisti.

Ci sono margini di manovra per stabilire chi siano i compagni di strada del Pd e quali siano, nell’ordine, i suoi avversari? Ma difficilmente la posta in gioco potrà essere la testa di Renzi: non c’è centrosinistra senza (questo) Pd. Sarà la nuova legge elettorale (ma quale?) a costruire il format, obbligando a far di necessità virtù. La prima scadenza è il ballottaggio: il Pd rimane in corsa, ma spesso in condizioni sfavorevoli.

Nel paradigma della Lombardia, in città dove governa il Pd va all’ultima sfida più debole del centrodestra (Monza e Como) o con uno scarto minimo (Lodi). Un promemoria istruttivo per le prossime elezioni regionali: quando il centrodestra adotta lo schema di Milano, quello del tutti insieme, è trainato in modo naturale da un clima ambientale e sociologico ormai definito.

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