Superiori più corte,
la scuola cambia

Quattro anni di scuola superiore invece di cinque. La maturità a 18 anni, la possibilità di andare un anno prima verso il lavoro o l’università. Il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha firmato il decreto lo scorso 3 agosto e dal primo al 30 settembre sarà aperto il bando che porterà alla scelta di cento scuole che, una classe a testa, potranno sperimentare il corso breve. A Bergamo dovrebbe partecipare al bando il liceo dell’Opera Sant’Alessandro che lavora da anni sul tema. Sono finora una dozzina le scuole italiane, fra statali e paritarie,che in questi anni hanno avuto il via libera dal Miur per la sperimentazione dei quattro anni. In Lombardia le sperimentazioni avviate sono al collegio San Carlo di Milano, all’istituto «Guido Carli» di Brescia; all’istituto «Olga Fiorin» di Busto Arsizio e al liceo «Gallio» di Como.

La scommessa è arrivare all’esame di Stato con la stessa preparazione del percorso tradizionale. Dal 2010 peraltro, per un accordo Miur -Mae tutti i licei italiani all’estero, statali e paritari, durano 4 anni in base al decreto 4 agosto 2010 (Gazzetta Ufficiale n. 212 del 10 settembre 2010). Il decreto comprende anche i piani degli studi per i diversi indirizzi, che porta all’identico esame di Stato previsto per chi studia in patria. Insomma, è già dimostrato che si può fare. Il senso è evitare che gli italiani arrivino «in ritardo» rispetto ai coetanei stranieri, dato che la maggior parte dei sistemi di istruzione prevede l’uscita a 18 anni e nessun corso superiore dura comunque più di quattro anni.

Per un confronto europeo, nonostante le diversità degli impianti nazionali, si usa la classificazione internazionale Isced , creata dall’Unesco, che individua nove livelli di istruzione con contenuti paragonabili. Il terzo livello («upper secondary») individua l’istruzione preuniversitaria o che dà forti competenze professionali. Rispetto al modello italiano, «le superiori» durano quasi dovunque 4 anni, mentre il ciclo delle «medie» arriva a 15 o 16 anni.

In Francia dai15 ai18 anni gli studenti possono frequentare il lycée negli indirizzi generale (propedeutico all’università), tecnologico (area tecnico-scientifica) oppure professionale. In Spagna il terzo livello Isced è biennale (16–18 anni) e prevede il bachillerato (studi generali) o formazione professionale. In Inghilterra il livello «upper secondary» è inserito nel ciclo unitario di istruzione 11-18 anni. In Germania il ciclo superiore inizia a 16 anni e si conclude a 18 o 19, assomigliando al nostro vecchio ginnasio, che durava 5 anni, più il liceo di tre.

Di concentrare la scuola superiore in quattro anni si parla fin dagli anni ’90 e fu il ministro Luigi Berlinguer il primo a mettere l’ipotesi sul banco con il tentativo di riforma del 2000. Moratti e Gelmini ci hanno girato intorno, con aperture caute «ad personam» a partire dal 2014. Giannini ha accantonato il progetto per non alzare lo scontro sindacale e l’ha ripreso, troppo tardi, la scorsa estate non arrivando a firmare il decreto. Ora Fedeli dà il via ufficiale al Piano nazionale di sperimentazione per licei e istituti tecnici. Con quali caratteristiche? Il corso di studi quadriennale – dice il decreto – dovrà garantire attraverso la flessibilità didattica e organizzativa, l’insegnamento di tutte le discipline e gli stessi traguardi dei corsi tradizionali. Quindi si passa per i licei da 900 ore annue per 5 anni a 1.000-1.050 ore per 4 anni. Obbligatorio nel terzo e quarto anno l’insegnamento di una «disciplina non linguistica» in lingua straniera (Clil) , la valorizzazione dei laboratori, le tecnologie didattiche innovative.

Nel corso del quadriennio, un Comitato scientifico nazionale di nomina del ministro monitorerà le esperienze preparando una relazione annuale per il Consiglio superiore della Pubblica istruzione, coadiuvati da Comitati scientifici regionali.

Fin qui la teoria. In pratica, considerate le novità della 107 – materie in più come Diritto e Storia dell’arte, potenziamenti vari, le 200 ore di alternanza scuola lavoro dei licei che dovranno necessariamente essere svolte durante le vacanze – docenti e studenti coinvolti nella sperimentazione dovranno lavorare sodo. Di più, dovranno cambiare lo sguardo sull’anno scolastico e trovare un nuovo metodo per organizzare le lezioni e lo studio.

Per gli istituti tecnici, per i quali l’alternanza scuola lavoro è cuore della didattica, con 400 ore dedicate, la sfida è davvero ardua. D’altra parte, per i più motivati, «chiudere» un anno prima può essere un premio sufficiente alla fatica. Il tempo guadagnato apre prospettive allettanti: prima in cerca di lavoro, prima all’università, maggior facilità d’ingresso in università straniere, maggior possibilità di concedersi esperienze di lavoro o di formazione. O anche il tempo per una bella avventura.

È ovviamente presto per sapere se i quattro anni sono adatti a tutti, se i programmi finiranno annacquati, se alla fine resterà il percorso standard accanto a quello plus. Bisogna provare. È certo che l’esperienza comune dei docenti, dalle medie all’università, testimonia di uno scivolamento progressivo all’indietro della «forma mentis» dello studente medio, sempre meno in grado di studiare al vecchio modo (a lungo, sui testi, in progressiva autonomia). Qualcosa si è rotto. Occorre provare strade per trasformare la scuola di massa in qualcosa di più adeguato, attraverso articolazioni che armonizzino le opportunità per tutti con le diversità di evoluzione.

Resta, per ora sfumata sullo sfondo dei piccoli numeri sperimentali, la questione occupazionale: meno anni di scuola, meno personale necessario, forse 40.000 eccedenze. Olio per i noti ingranaggi: ricorso, graduatoria, pettine. Meno docenti, più avvocati.

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