Terra Santa lacerata
La pace è lontana

Il 2016 è stato un anno relativamente calmo in Israele dal punto di vista degli atti terroristici, il cui numero è sensibilmente calato in confronto al 2015, quando era esplosa la cosiddetta «Intifada dei coltelli». Ma i problemi non sono affatto risolti e così il conflitto con i palestinesi ha continuato a prendere un posto predominante nella vita degli israeliani. Due questioni diverse, ma egualmente essenziali per il futuro del Paese, hanno portato alla ribalta nelle ultime settimane le profonde divisioni che attraversano la società a questo riguardo.

Il 4 gennaio, il Tribunale militare israeliano ha dichiarato colpevole il soldato Elor Azaria, 20 anni, che nel mese di marzo aveva ucciso, sparandogli alla testa, il ventunenne palestinese Abdul Fatah al Sharif, a Hebron. Quest’ultimo, accompagnato da un altro giovane, aveva attaccato un commilitone di Azaria con un coltello. Un assalitore era stato immediatamente ucciso - nell’azione militare - e l’altro, appunto Abdul Fatah el Sharif, giaceva a terra ferito quando Azaria gli ha sparato uccidendolo. Il Tribunale non ha accettato la linea difensiva dell’accusato secondo cui aveva sparato perché temeva che il ferito nascondesse un ordigno. Il verdetto parla comunque di «omicidio colposo».

Il caso ha scatenato un’ondata di violente proteste e di furiose polemiche. Persino di minacce contro i giudici e contro il comandante capo dell’esercito, da parte di coloro che dicono di «capire» i timori del soldato. C’è persino chi esalta il suo gesto, dicendo che ha «ucciso un terrorista». Sull’altro fronte ci sono le organizzazioni pacifiste e in generale tutti coloro - militari, politici e gente comune - che vedono in questo processo l’occasione per ribadire «il codice morale» dell’esercito israeliano, che esige dai militari di ogni ordine e grado comportamenti «coerenti con le leggi dello Stato». La presenza in Cisgiordania di circa 400 mila coloni israeliani, più i 200 mila che vivono nella zona di Gerusalemme est, e le restrizioni imposte ai palestinesi nei loro spostamenti moltiplicano le situazioni di tensione e gli scontri tra i coloni e la popolazione palestinese. I soldati intervengono di frequente e la convivenza è ormai diventata estremamente difficile. A prescindere dal comportamento specifico del soldato Azaria, la questione che si pone è quella della persistente presenza di Israele in Cisgiordania e delle difficoltà di preservare un sistema democratico in queste circostanze.

Proprio il tema degli insediamenti è tornato qualche settimana fa d’attualità in Israele. Il governo del premier Netanyahu, incalzato dai coloni e dall’estrema destra che lo sostiene e che dispone di vari ministri, ha tentato di rinviare per l’ennesima volta la decisione della Corte suprema di giustizia di smantellare l’avamposto d’Amona, costruito su terre palestinesi private. Dopo lunghe trattative, la Corte ha accettato un rinvio di un mese e mezzo dell’ordine di sgombero, con la promessa che i coloni partiranno in modo pacifico. Amona è uno delle decine di insediamenti costruiti sulle terre private dei palestinesi, senza l’espressa autorizzazione del governo. Sull’onda dell’emozione suscitata dalla possibilità dello smantellamento, il governo israeliano ha tentato, senza successo, di far approvare una legge per legalizzare questo genere di insediamenti.

Intanto l’estrema destra nazionalista intende presentare un disegno di legge per annettere la città di Ma’ale Adumim, situata a 7 chilometri da Gerusalemme, dove abitano attualmente 37.525 israeliani. Per Netanyahu è sempre più difficile controllare le iniziative di una parte dei membri della sua coalizione. Mentre gli israeliani sono profondamente divisi tra diverse opzioni (c’è chi vorrebbe annettere i Territori senza dare diritti ai palestinesi, ma ci sono anche i favorevoli a una restituzione, parziale o anche totale, in una logica che prevedrebbe l’esistenza di due Stati indipendenti), Netanyahu aspetta con ansia l’arrivo alla Casa Bianca del nuovo presidente. Donald Trump ha fatto tante promesse nel senso della politica del governo israeliano. Adesso si vedrà se manterrà la sua parola. Netanyahu lo spera. I palestinesi lo temono.

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