Tra Trump e Putin
amore da montagne russe

Sembra ieri quando Trump, durante la campagna elettorale, tesseva le lodi di Putin come leader capace con cui sarebbe stato possibile «risettare» i rapporti tra Washington e Mosca e Putin – almeno secondo quanto è emerso finora nel corso delle indagini sul cosiddetto Russiagate – cercava segretamente di dare una mano a «The Donald» facendo diffondere informazioni compromettenti sulla sua avversaria Hillary Clinton. Invece, dopo vari alti e bassi che i media hanno forse commesso l’errore di prendere troppo sul serio, i rapporti tra Usa e Russia sono improvvisamente precipitati al punto più basso dalla fine della Guerra fredda, con il Congresso che vota quasi all’unanimità severe sanzioni contro il Cremlino che il presidente non potrà fare a meno di avallare e Putin che risponde ordinando la riduzione, entro il 1 settembre, del personale diplomatico americano presente in Russia da circa 1.200 a 455 unità: «Abbiamo esaurito la nostra pazienza», ha sentenziato lo zar in tv. «Abbiamo atteso a lungo nella speranza che i rapporti tra i nostri due Paesi cambiassero, ma se questo accadrà mai, non sarà presto».

E molti osservatori temono che questo possa essere solo l’inizio di un botta e risposta che si ripercuoterebbe anche sulla collaborazione in aree come l’esplorazione spaziale, in cui le due potenze collaborano ormai da anni. Come si è potuti arrivare a questo punto nemmeno un mese dopo i lunghi colloqui e la cordiale stretta di mano tra i due leader ai margini del G20 di Amburgo, che aveva addirittura fatto sospettare la nascita di accordi segreti su una attenuazione delle sanzioni per l’occupazione russa della Crimea? In parte, è stata una concatenazione di eventi sfuggiti al controllo del presidente e dello Zar; per il resto è stata la somma di una serie di situazioni conflittuali – come lo sbandierato ammodernamento dell’arsenale atomico russo o il rilancio del piano per fare entrare l’Ucraina nella Nato, che sono venute contemporaneamente al pettine. A innescare l’ultima crisi, comunque, è stato il Congresso degli Stati Uniti, dove la russofobia nata negli anni della guerra fredda è ancora molto diffusa sia tra i repubblicani, sia tra i democratici, con la decisione di votare a larghissima maggioranza nuove, severe sanzioni contro la Russia per punirla delle interferenze (naturalmente negate da Putin) nella campagna elettorale americana.

La legge relativa non è stata ancora firmata da Trump, che in teoria potrebbe usare il suo diritto di veto, ma il presidente ha già fatto sapere che, seppure con riluttanza, lo farà. Se infatti rifiutasse, non solo aggraverebbe il conflitto già in atto con il suo partito, ma alimenterebbe il sospetto che abbia cercato davvero, attraverso stretti collaboratori come il generale Flynn, suo figlio Donald jr. e suo genero Jared Kushner, di ottenere l’aiuto russo contro Hillary; in altre parole, finirebbe con l’aggravare la sua posizione, già abbastanza compromessa, nella inchiesta che il procuratore speciale Robert Mueller sta conducendo sulla materia (e che, secondo alcuni analisti, potrebbe diventare il primo passo verso il suo impeachment).

Nonostante la gravità delle misure adottate dalle due parti, ci sono elementi per sperare che la situazione non degeneri ulteriormente. Il tono dell’annuncio di Putin è stato relativamente pacato, buona parte dei 755 dipendenti dell’ambasciata e dei quattro consolati americani di cui è stata decretata «l’espulsione» sono in realtà cittadini russi che vi lavorano come autisti, cuochi o interpreti, e il mese di tempo concesso per l’attuazione del decreto lascia sperare che si possa ancora arrivare a un compromesso. In fondo, non c’è né da una parte, né dall’altra, interesse a fare precipitare la situazione, perché un minimo di collaborazione è indispensabile sia nella ricerca di una soluzione del problema siriano sia nel tentativo di fermare la folle corsa della Corea del nord verso lo status di grande potenza nucleare. Certo, con la legge votata dal Congresso, svanisce per lungo tempo la possibilità che gli Usa vengano incontro a Putin sull’Ucraina, perché Trump avrà le mani legate, ma almeno un modo per «congelare» la crisi al livello attuale non dovrebbe essere fuori dalla portata delle diplomazie.

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