Ubi, i grandi numeri
e la prudenza

C’è stata una stagione in cui il risiko bancario in Italia sembrava una festa: grandi operazioni per banche sempre più grandi e via a brindare. Oggi il sentiment, come si dice, è in generale più dimesso o quantomeno più prudente: comprare una banca appare più una sfida che una conquista. Così si presenta anche per Ubi l’acquisizione di tre good banks, approvata ieri dai consigli. Digerito (più o meno) il gran rifiuto della Popolare di Milano, che a una banca dal cuore lombardo da costruire con Bergamo e Brescia ha preferito l’asse con Verona e il Banco Popolare, il gruppo di piazza Vittorio Veneto rileverà entro tre mesi Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti. Sono appunto tre delle quattro good banks salvate a novembre 2015 (la quarta è CariFerrara, che dovrebbe essere acquisita dalla Popolare dell’Emilia Romagna). Sono così definite perché, con il primo intervento del Fondo di risoluzione delle crisi bancarie in Italia, venne costituita una bad bank (la banca «cattiva») dove confluirono le sofferenze (8,5 miliardi in tutto valutati 1,5) e nacquero quattro nuove banche «buone» destinate fin dall’inizio a essere vendute.

Ubi, tirata per la giacchetta a più riprese per comprarle, nelle parole del presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio e del consigliere delegato Victor Massiah, ha sempre detto che non avrebbe fatto salvataggi. Quanto si sa finora dell’operazione, in attesa dell’annuncio ufficiale di oggi, lo conferma: prezzo simbolico di un euro, bilanci alleggeriti da sofferenze e inadempienze probabili per 2,2 miliardi (ma un’altra fetta di incagli resterebbe in capo a Ubi), benefici fiscali per oltre mezzo miliardo, snellimento delle strutture con almeno 900 esuberi sugli attuali 5 mila dipendenti delle tre banche.

Costi, è chiaro, ce ne saranno: agli azionisti di Ubi sarà chiesto un aumento di capitale da 400 milioni, ovvero quanto il gruppo era disponibile a fare e meno dei 600 milioni chiesti inizialmente dalla Bce. Servirà per allineare gli indici patrimoniali delle tre banche, che entreranno con un Cet 1 attorno al 9%, a quelli di Ubi, che a fine settembre era di poco sotto al 12%.

Inoltre, il sistema bancario (Ubi compresa) dovrà versare per l’operazione un contributo straordinario di oltre 400 milioni al Fondo di risoluzione. Ci sarà il costo dei tagli di personale: morbidi, come avviene nelle banche, con i prepensionamenti volontari accompagnati dal Fondo di solidarietà, ma pur sempre tagli. Potrebbe esserci anche qualcosa da sfoltire in zona Marche, dove non è escluso che ci siano filiali di troppo, per le sovrapposizioni con la Popolare di Ancona che già presidia quella zona per Ubi. Nell’insieme, però, quella che emerge è un’acquisizione complessa che vuole tenere fede, almeno nell’impianto, alle condizioni iniziali: fare un’operazione di mercato che risolva un problema senza crearne altri in casa.

Ma non finisce qui. Chiariti i punti di partenza, ora inizierà il lavoro sul campo, con strutture, sistemi informatici, politiche creditizie e persone da integrare in un momento in cui Ubi è già alle prese con un piano industriale strategico che porterà alla nascita della banca unica e a un dimagrimento del personale (oggi i lavoratori sono 17 mila), per il quale è stato firmato un mese fa un accordo sindacale che prevede 600 uscite quest’anno, da fine febbraio, e altre 700 in una seconda tranche.

Pochi brindisi, quindi, e un augurio di buon lavoro. C’è chi, dopo un viaggio nella finanza da un capo all’altro del mondo, ha scritto di aver maturato la forte consapevolezza che «dietro la gestione del denaro ci sono grandi società con grandi competenze». Si possono aggiungere altre qualità, come senso del dovere e professionalità, memori della cultura aziendale che ha accompagnato la crescita della Banca Popolare di Bergamo, che il 20 febbraio cesserà di esistere come società e sarà fusa nella capogruppo Ubi per costituire la banca unica, ma continuerà a vivere nelle capacità e nella cultura del lavoro delle sue persone, che contribuiranno a traghettare questa fase strategica nella vita del gruppo.

Un’ultima annotazione. Ubi compra le tre good banks alle sue condizioni e, anche se non vuol sentire parlare di salvataggi, è innegabile che risolve un problema al Paese. Come dire: Ubi ha fatto la sua parte. Qua e là, da Mps in giù, ci sono ancora mine vaganti. A questo punto, però, ci penseranno altri.

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