Ubi Spa, Bergamo
non resti ferma

Solo nel 2014 la Banca Popolare di Bergamo ha portato più di 143 milioni di utile al gruppo Ubi. Con le altre banche rete non c’è storia. Bisogna arrivare ai 35 milioni della Commercio e Industria per trovare il secondo miglior risultato. In sette anni di bilanci Ubi, i risultati positivi cumulati portati dalla Bergamo superano il miliardo: 1,2 per la precisione.

La qualità del credito è proporzionalmente migliore, con rettifiche nel 2014 inferiori ad altri rispetto alla mole degli impieghi netti della banca. Anche l’efficienza è la migliore del gruppo: il rapporto fra costi e proventi operativi è inferiore al 55%. In pratica, ogni euro speso per far funzionare la banca, se ne guadagnano più o meno due. Mica noccioline. Una medaglia che brilla come l’oro non solo nel gruppo, ma nel sistema delle Popolari italiane che in media sono al 70%.

Sono dati che parlano da soli e, va da sè, nel sottolinearli c’è anche un briciolo di orgoglio bergamasco. È un orgoglio che nulla toglie all’asse Bergamo-Brescia: Ubi è una realtà e a questa si deve guardare, anche perché in un mondo in cui l’esempio di banca cui guardare può essere l’americana Wells Fargo, le beghe di cortile fanno un po’ sorridere e probabilmente fanno male a tutti.

Ma quello bergamasco è anche un orgoglio che deve darsi un mossa, smetterla di crogiolarsi nelle lamentele e nel ricordo (quando non nel rimpianto) dei bei tempi andati e decidere cosa vuole fare da grande: oggi o mai più. Entro fine anno Ubi diventerà una Spa. Diamo per assodato che questa sarà la strada. Altre vie anche suggestive emerse negli ultimi tempi, come scorpori di attività bancarie e Spa controllata da una cooperativa, non sembrano avere gambe per camminare.

Se dunque Ubi sarà una società per azioni, peseranno i quattrini e non più le teste, con tutte le derive autoreferenziali e di mancata rigenerazione che può aver avuto questo secondo modello, ma anche con quell’idea e quella cultura, forse un po’ romantica, di democrazia economica che è difficile mandare in soffitta in fretta e furia dopo 146 anni di storia.

Ma se questi conteranno, parliamo allora di quattrini, immaginando un tetto del 5% come in Unicredit. Avere il 5% di Ubi oggi significa avere grosso modo 45 milioni di azioni per un valore di oltre 320 milioni di euro. I grandi azionisti bergamaschi arrivano mal contati al 2-3%. Ora, le domande sono due. La prima: c’è fra i nostri capitani d’impresa chi è pronto a credere ancora nella banca, nonostante lo scotto dei milioni persi con i crolli in Borsa degli anni passati? La seconda: c’è chi si assume l’onere di organizzare questo azionariato, il nocciolo duro di cui si è parlato nelle scorse settimane, nel rispetto delle regole del gioco e quindi, si presume, con un patto di sindacato? Molto più complicata e velleitaria, anche se in teoria più vicina allo spirito popolare, sembrerebbe infatti la possibilità di costituire ex novo una cooperativa in cui far confluire anche piccoli soci e che detenga poi azioni della Spa.

C’è già chi ha speso parole a favore di un’alleanza con i grandi soci bresciani, figli della Spa e che da soli detengono il 7-8% di Ubi. E perché no? Questa è Ubi. Ma prima di arrivare all’approdo finale, Bergamo dovrebbe dare sostanza al suo orgoglio. La Popolare ha letteralmente costruito la nostra provincia e il nostro sviluppo. Finanziando le imprese, certo, ma anche le infrastrutture. La banca a Bergamo è ricchezza che si crea sul territorio per il territorio. È un attore non marginale della vita economica: basti pensare alla partecipazione in Sacbo, la società che gestisce l’aeroporto di Orio al Serio, uno scalo che crea qualcosa come 5 mila posti di lavoro.

Il mercato è il mercato. Come va ripetendo il consigliere delegato Victor Massiah, essere Spa vorrà dire essere contendibili, anche da banche estere, e con questa realtà si dovranno fare i conti. Certo, Bergamo non può vagheggiare di avere il controllo di Ubi Spa: è semplicemente impossibile. Ma immaginare di pesare di più forse sì. E non può stare seduta ad aspettare gli eventi o finirà per essere travolta. Ad oggi, infatti, c’è uno scenario temporale per la trasformazione in Spa, che sarà entro l’anno, ma non per eventuali aggregazioni. Queste, in teoria, potrebbero slittare a una fase due. Ma non è detto. Il futuro dunque avrà l’orizzonte di un mare aperto e ben venga: se il 40% di Ubi è in mano ai fondi internazionali, vuol dire che la banca non ha mai avuto e non avrà paura del mercato. Ma tenere un ancoraggio nei porti della storia potrebbe essere importante. Perché lo sviluppo e la ricchezza dei territori non sono una filosofia. Sono un concetto molto concreto. A sei zeri.

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