Un paese devastato
dai piromani

Disattenzione, vandalismo, criminalità, ignoranza atavica. Inutile cercare casi di autocombustione, che si realizzano solo con temperature superiori a 50 gradi, negli incendi boschivi che stanno divorando l’Italia senza tregua. Le cause, a parte qualche eccezione marginale, sono per metà dovute a eventi dolosi e per l’altra metà colposi. L’aspetto terribile di questa piaga è che è in continuo aumento. Dal 2010 nel nostro Paese è andata in fumo una porzione di territorio estesa come la regione Molise e solo in questo scorcio d’estate è bruciata un’area pari a quella della provincia di Venezia.

Nel dossier presentato qualche giorno fa dai Verdi si parla anche di danni per quasi un miliardo di euro. La dinamica dei piromani è quasi sempre la stessa: si appicca il fuoco in diversi punti della zona, in modo da far divampare le fiamme contemporaneamente. Chi corre a spegnerle, inevitabilmente, è disorientato e gli interventi risultano meno efficaci. Dietro c’è spesso la mano della criminalità organizzata, come certamente nelle fiamme che hanno devastato la riserva naturale intorno al Vesuvio, generando anche un rischio frane. Un’indagine difficile, su cui indagano tre procure: Napoli, Torre Annunziata e Nola. Una legge severa prevede che non si possa edificare per almeno dieci anni sui territori coinvolti dagli incendi dolosi o colposi, ma a volte la criminalità ragiona a lungo termine o ignora le normative (applicate con severità). A soffiare sul fuoco possono essere contadini interessati a nuove terre da rendere fertili o da adibire a nuovi pascoli, secondo antiche tradizioni agropastorali. In alcuni casi si tratta di rappresaglie nei confronti delle amministrazioni locali, il che naturalmente fa tornare in gioco mafia e camorra.

Il resto lo fa l’ignoranza di contadini e allevatori che considerano ancora il fuoco come un modo sbrigativo per liberarsi di stoppie, sterpaglie o dei rami della potatura. Ma l’elenco delle mani sporche che stanno dietro gli incendi boschivi non finisce qui: a volte possono essere gli stessi operai stagionali chiamati a spegnere il fuoco o a provvedere alla forestazione, preoccupati di non essere chiamati l’anno successivo. Un bell’incendio garantirà il contratto anche per il prossimo anno. Per non parlare dei piromani dilettanti, quelli che si divertono ad appiccare un incendio per il gusto di vederlo spegnere dai vigili del fuoco e vedere passare sopra la loro testa i Canadair.

Come frenare una simile devastazione? Non è una questione di leggi. Le pene previste sono severe e vanno fino a quindici anni di carcere. Ma delle 600 denunce annuali prodotte, poco più di una decina si risolvono con l’arresto (difficile che si verifichi una flagranza di reato). A tutto questo va aggiunto il problema della scomparsa del Corpo Forestale, assorbito con la Legge Madia nei Carabinieri, chiamati a investigare sugli incendi, e nei Vigili del fuoco e nella Protezione civile, che si preoccupano di domare le fiamme e organizzare i soccorsi e il rimboschimento.

L’Italia dunque rimane sotto attacco in una guerra che sta perdendo. L’unico modo per vincerla sarebbe potenziare la prevenzione, la sorveglianza e gli interventi di spegnimento. Ma nonostante l’abnegazione e l’impegno straordinario dei Vigili del fuoco, i mezzi sono insufficienti. Il governo Monti ha ridotto di un terzo la flotta statale dei Canadair, e ancora sei regioni, sono ancora sprovviste di una flotta regionale di elicotteri e aerei antincendio. Vale la pena di citarle tutte: Basilicata, Molise, Abruzzo, Marche, Umbria e Sicilia. Praticamente le regioni più verdi del Paese. Povera Italia, è il caso di dirlo.

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