Un timido Renzi
nell’ultima fila

Ad essere proprio franchi, l’incontro di giovedì 26 novembre all’Eliseo tra François Hollande e Matteo Renzi non è apparso centrale nell’agenda europea e francese della lotta al terrorismo. Non tanto per l’ora insolita del colloquio, di primo mattino e prima del volo del presidente francese verso Mosca, quanto per il risultato concreto di esso.

Con Vladimir Putin, Hollande ha discusso di un coordinamento militare tra Francia e Russia nell’attacco alle postazioni Isis in Siria; con David Cameron dell’impegno inglese, proposto oggi alla Camera dei Comuni, a bombardare le basi dei terroristi; con Angela Merkel - che manderà nell’area aerei della Luftwaffe e una nave da guerra - dell’alleggerimento dell’impegno nel Mali dei francesi che saranno aiutati dai tedeschi. Al netto di un ondeggiante Obama, gli europei - purtroppo ciascuno per sé - hanno dato una risposta agli appelli di Parigi. Basta constatare la tradizionale franchezza del premier inglese: «Non possiamo appaltare la nostra sicurezza a qualche altro Paese: dobbiamo bombardare ora».

Insomma, qualcosa si è mosso intorno alla Francia ferita ma questo qualcosa porta ben poco del tricolore italiano. Renzi all’Eliseo ha soprattutto messo in guardia dalle «facili scorciatoie in assenza di strategia globale» (leggi: bombardamenti) e per questo ha citato il caso libico, implicitamente ricordando ai francesi la mossa avventata e solitaria di Sarkozy di defenestrare Gheddafi. Poi il presidente del Consiglio italiano di fronte a Hollande ha invocato «una coalizione più vasta» per combattere l’Isis e ha concluso che è necessaria «una risposta anche culturale al terrorismo». Al di là della retorica diplomatica che si usa in queste circostanze, di risultati concreti poco si è visto in quel colloquio mattutino, se non la disponibilità del nostro Paese a collaborare sul piano dello scambio di informazioni tra i servizi segreti. Manderemo i nostri Tornado? «Non è questo il problema», risponde il ministro della Difesa Pinotti. Impegneremo più forze speciali? «Facciamo già abbastanza» chiude il discorso Renzi in persona ricordando i nostri 750 militari sparsi in Medio Oriente.

Il punto però è che la nostra linea più che prudente rischia di metterci al lato del tavolo delle decisioni cui, diciamoci la verità, i partner ci invitano quando proprio sono obbligati. Del resto, un Paese si conquista un ruolo in politica estera non con i discorsi ma con le azioni consapevoli. Non c’è dubbio che a Roma siano consapevoli del fatto che l’Italia è coinvolta nella lotta al terrorismo ma non è chiaro se questa coscienza conferisca alla classe politica e di governo una sufficiente lucidità nello scegliere un atteggiamento coerente. L’unica coerenza che riscontriamo in questo momento è la ritrosia nei fatti, se non nelle parole.

È probabile che in questa tattica Matteo Renzi faccia pesare non soltanto una tradizionale avversione italiana ad impegni militari diretti - in genere nelle missioni di pace ci occupiamo di addestramento, logistica, intelligence - quanto considerazioni di politica interna. Il capo del governo sente che un maggiore coinvolgimento italiano nella lotta all’Isis, quello dichiarato da Cameron per intenderci e persino dalla Merkel, non avrebbe un consenso interno sufficiente. A cominciare dal partito che è il suo e dove si concentrano opinioni di sinistra che accentuerebbero una frattura col leader la cui conseguenza sarebbe l’indebolimento del governo. Senza dimenticare che in primavera ci saranno elezioni amministrative che potrebbero rivelarsi negative per il Pd, già messo alla prova da ondate populiste molto forti e con consensi crescenti.

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