Bianco, rosso, verde

Dov’è la bandiera? La polemica è scoppiata ieri, quando il presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, ha opposto il suo rifiuto a esporre il tricolore sulle facciate degli uffici pubblici domani 24 maggio per ricordare il passaggio dei primi fanti sul Piave. Di fatto l’inizio della prima guerra mondiale italiana.

«L’invito della presidenza del Consiglio è fuori luogo», ha sottolineato il governatore. Alla sua voce si è aggiunta quella di Ugo Rossi, presidente della Provincia di Trento, che si è detto disponibile a issare la bandiera «ma solo a mezz’asta perché l’inizio di una guerra è una sconfitta».

Così i luoghi nei quali i ragazzi del ’99 si immolarono dentro trincee di fango preferirebbero sottacere il centenario della Grande guerra e azzerare un giorno che rappresenta sì l’inizio di un tremendo conflitto, ma anche un momento di ricordo, di tenerezza, di rispetto nei confronti dei nostri nonni, capaci di opporsi con spirito patrio all’impero austroungarico e di costruire con il loro sacrificio il profilo di una nazione. Che a Bolzano tutto ciò dia fastidio agli schuetzen è comprensibile (hanno perso).

Che lo stesso sentimento esista a Trento è meno spiegabile. Nessuno ha chiesto di usare il tricolore per caroselli da nazionale di calcio, semplicemente di apporlo sul pennone. E magari, passandoci sotto, di dedicare un pensiero a ciò che rappresentò per i 600 mila caduti italiani. Nella regione autonoma che ottiene da Roma 124 euro in cambio di 100 di tasse pagate (in Lombardia ne tornano solo 22), non si può neppure ricordare? A meno che la storia la facciano i vincitori, tranne quando siamo noi.

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