Il tunnel di Platini

Aspetta. Michel Platini attende idealmente sdraiato come la Paolina Bonaparte del Canova con un braccio a sorreggere la testa, posa in cui fu immortalato dopo aver segnato uno dei gol più belli della storia del calcio, annullatogli da un arbitro poco esteta.

Aspetta il giorno del giudizio, fissato il nove maggio, giorno in cui un altro arbitro, il presidente della giuria del Tribunale arbitrale dello sport, dovrà leggere la sentenza più importante della vita di roi Michel, quella che potrebbe restituirgli definitivamente la dignità. Qui non c’è il rischio di ammalarsi di juventinite, quindi nessuna simpatia personale. Piuttosto siamo interessati alle vicende della Giustizia, che stimiamo essere uno degli indicatori più importanti per valutare la civiltà del mondo.

Accade che qualche mese fa Platini venga spazzato via dal gotha del calcio mondiale accompagnato dall’infamia dell’accusa di corruzione e falso da parte della Commissione etica della Fifa in relazione a 1.8 milioni di euro che l’ex campione avrebbe incassato dal presidente Blatter. Con squalifica di otto anni, poi ridotta a sei. Proprio in quel periodo si elegge il nuovo presidente e Platini deve rinunciare alla candidatura fra mille clamori. La settimana scorsa, come se la cosa fosse del tutto ininfluente, la stessa Commissione etica lascia cadere le accuse. Come dire: scusate, abbiamo scherzato. La notizia viene rilanciata dai media con una dimensione infinitesimale rispetto a quella della cacciata, quindi Platini sembra ancora colpevole quando non lo è. E il Tas dovrà decidere in merito all’annullamento della squalifica. Chi lo chiama tritacarne è ancora gentile.

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