L’Europa del cuore

Adesso sappiamo ciò che manca. Il vuoto è evidente, addirittura impressionante, grande come piazza Syntagma traboccante di greci plaudenti. Manca l’Europa dei popoli, mancano quegli ideali condivisi alla base di un’unione di cuori e di coscienze, che persino i padri fondatori hanno trascurato preferendo incamminarsi - prima di ogni altro obiettivo - sulla via dell’unione monetaria. Una moneta e tante facce, una moneta e tante razze, così per restare in clima greco. Ed ecco che la moneta scricchiola.

È bastato un referendum allestito in dieci giorni e riguardante meno di dieci milioni di cittadini del continente per mandare in crisi la macchina (che si pensava perfetta) di Eurolandia. Laddove Euro sta per denaro sonante, sta per banche più o meno rapaci, sta per burocrazia senz’anima, sta per colletti bianchi che interpretano grafici. Ma non sta per Europa, il vecchio saggio continente che ha costituito il cuore (peraltro sempre litigioso e febbrile) del mondo. Il no greco è un monosillabo, ma oltre il no greco c’è un enorme punto interrogativo che solo qualche populista in cerca di like finge di dimenticare.

Adesso Bruxelles che fa? Prende atto del potente «vaffa» che arriva da Atene e sgancia la Grecia insolvente o decide di rinegoziare il taglio del debito esponendosi a dieci, cento referendum analoghi al primo accenno di crisi spagnola, portoghese o italiana? Dilemma amletico. Il primo ad averlo capito è Varoufakis, che ha incassato l’effimero successo e ha dato le dimissioni. Meglio tenere remunerate conferenze in tutto il mondo da campione della sinistra alternativa che rimettersi al lavoro per salvare il Paese. In questo è identico alla signora Merkel: l’Europa del cuore non li riguarda proprio.

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