Voto di sfiducia

Parlamento tutto ruota attorno all’Italicum, che con quel nome più d’una legge elettorale sembra un treno fermo. Renzi vorrebbe farlo ripartire come la locomotiva di Guccini e la sinistra Pd farlo finire su un binario morto in mezzo ai campi.

In attesa degli eventi è interessante sapere perché il premier sta forzando la mano e dimostra di non fidarsi dell’ala più movimentista e più demagogica del partito di maggioranza.

A raccontare il retroscena è l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nei corridoi di Palazzo Madama. Quando era presidente, la minoranza Pd saliva di sovente al Quirinale per chiedergli d’intervenire e modificare i provvedimenti proposti da Renzi. Lui, incline alla trattativa, teneva loro la parte e si sentiva ripetere dall’ex sindaco di Firenze: «D’accordo presidente, ma se concediamo questo chiederanno altro e non ci fermiamo più». Napolitano lo convinceva ad accogliere le obiezioni e lo rassicurava: va bene così. Una richiesta, accolta. Seconda richiesta, accolta. Terza richiesta, quarta. Sempre sulla stessa legge, nel tentativo di far diventare tonda un’idea quadrata.

Operazione di snaturamento progressivo del senso del provvedimento legislativo e sbriciolamento letale della pazienza di chiunque. Possiamo immaginare la reazione di un imprenditore, di un artigiano, di un cittadino di fronte a continue istanze. Alla fine fu lo stesso Napolitano - almeno così si racconta - a chiamare Renzi e ad ammettere: di questa minoranza non ci si può fidare. Sarà interessante sapere, fra qualche mese, se la pensa così anche Mattarella. Sempre che il governo non chiuda prima.

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